“Nessun partito e nessuno schieramento dispone da solo dei voti necessari per formare un governo e sostenerlo ed è indispensabile quindi, secondo le regole della nostra democrazia, che vi siano intese tra più parti per formare una coalizione che possa avere una maggioranza in Parlamento. Nelle consultazioni in questi due giorni questa condizione non è emersa. Farò trascorrere qualche giorno di riflessione, anche sulla base della esigenza di maggior tempo che mi è stata prospettata da molte parti politiche. Sarà utile anche a me per analizzare e riflettere su ogni aspetto delle considerazioni fatte dai partiti e sarà utile a loro per valutare responsabilmente la situazione, le convergenze programmatiche, le possibili soluzioni per dare vita a un governo. Nel corso della prossima settimana avvierò un nuovo ciclo di consultazioni per verificare se sia maturata la possibilità di formare un governo che oggi non è emersa”. Queste le parole di Mattarella. Un sospiro di sollievo per i sostenitori della democrazia parlamentare come chi scrive questa breve nota.



Tutto è rimandato al Parlamento e al costrutto socio-politico che organizza la democrazia: i partiti, organismi cangianti e dalle mutevoli forme che fioriscono poi dal dal voto popolare e che ne sono regolati in ultima istanza. Il tempo dei governi tecnici imposti dai poteri di fatto situazionali di cui è stato l’interprete più prono Giorgio Napolitano è finito e forse per la democrazia italiana vi è ancora una speranza.



Sono saliti tutti a piedi per incontrare il Capo dello Stato e questo è stato un brutto segnale di subalternità ideologica ai miti del plebiscitarismo e della mancanza di quell’autorità e dignità che i rappresentanti del popolo debbono avere, perché in tal modo si evidenziano non i privilegi, ma il fatto che essi debbono essere i migliori tra il popolo e nel contempo migliori del popolo, così migliorandolo. L’autorità ha bisogno di autorevolezza ed è per questo che si sono inventate prima le carrozze poi le auto blu: per rendere manifesto questo concetto essenziale che trasforma la democrazia non in un plebiscito, ma in un atto che fonda uno dei tre poteri che Montesquieu ci ha insegnato a rispettare e a porre al riparo. Al riparo anche dal dileggio che sale dal plebiscitarismo e dal demagogismo che uccide la democrazia e i suoi organizzatori: i partiti, appunto.



Siamo partiti male con quelle passeggiate a piedi, ma siamo finiti bene con la lezione costituzionale e di diritto parlamentare del professor Mattarella. Non poteva sortirne che quello che è scaturito dal fatto che Lega, 5 Stelle e Pd sono stati fedeli ai loro elettori: e quindi nessuno può trovare sino ad adesso un accordo con coloro che ha così duramente attaccato durante tutta la campagna elettorale.

Di Maio non ha torto: i governi si fanno o con il Pd o con la Lega, perché, ha detto, “non siamo né di destra né di sinistra”, ossia “siamo tanto di destra quanto di sinistra”, perché così è l’elettorato del popolo degli abissi, il cui risveglio è la grande novità di questi anni, in tutto il mondo. La Lega è altra cosa: da costola della sinistra si è via via trasformata in forza organica di una nuova destra moderata e nazionale, quella che è mancata all’Italia sin dall’inizio dell’unificazione: una destra borghese, oggi della nuova borghesia che promana dalle piccole imprese e dal lavoro autonomo e che tiene insieme l’Italia e la sorregge e non la fa sprofondare, ora che la grande impresa e l’impresa pubblica – anch’essa grande – si sono dileguate, svendute e consegnate alle forze occupanti di un’Italia minacciata costantemente da poteri eterodiretti che ne hanno governato negli ultimi anni le classi politiche e che governano ancora i pochi poteri situazionali di fatto che, mucillagini peristaltiche, cercano di costituirsi in borghesie compradore.

Per carità, anche le nuove borghesie nazionali hanno bisogno di sostegni esterni, ma non sono coloniali, compradore. Tutta la sostanza è qui. L’Europa dell’austerità, ossia del controllo tedesco e dei suoi cantori terrificanti per mancanza di decenza, preme continuamente sui vincitori dell’agone elettorale. In ogni modo: basta leggere i quotidiani stranieri, parlare con chi ci guarda da lontano e ci comanda da molto più lontano.

Ci vorrà tempo per decantare, per far decantare le forze. I poteri nascosti devono disvelarsi e tutti capiranno allora chi prima o poi cederà oppure terrà fede agli impegni assunti dinanzi al principio di decenza. Giungerà il momento in cui il Re sarà nudo. E allora inizierà un percorso decisivo: quello della chiarezza.

Molto dipende ora dal Capo dello Stato: questo percorso ci condurrà al voto? Oppure a una nuova prova della verità, affrontando con dignità quei compiti che le borghesie non coloniali devono portare a compimento per dirsi tali?