Ieri nello studio alla Vetrata del Quirinale sono sfilati i partiti maggiori: Pd, Forza Italia, Lega e M5s. La situazione è a prima vista bloccata, tanto che Mattarella chiude il giro con un monito ai partiti, invitandoli a smussare veti e impuntature e dando loro appuntamento per il secondo giro di consultazioni. Di qui ad allora, questo è il messaggio del presidente della Repubblica, qualcosa dovrà cambiare. La giornata si è chiusa con la Lega che rimbrotta Berlusconi per la sua ostilità a Di Maio e con il leader di M5s che si rivolge a “tutto il Pd” (dunque Renzi compreso: una novità). “Le opzioni sono ancora tutte in campo, intatte — spiega Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2 —. Anche quella delle urne. Salvini non ha paura di andarci, ma Di Maio ci penserebbe due volte. Nel frattempo, il problema si chiama Berlusconi”.



Che senso dare al messaggio del capo dello Stato?

Mattarella lo ha inteso come un atto dovuto nei confronti dei cittadini. Ha voluto render conto di quello che sta facendo e anche dello stato insoddisfacente dell’arte in questa fase. 

E quindi dare un chiaro segnale ai partiti. Insomma, così non va bene. La moral suasion è già iniziata?



Quella è iniziata da tempo e si è già svolta nello studio alla Vetrata. Mattarella ha fatto domande molto minuziose sulle intenzioni e le possibili convergenze. 

Allora qual è il messaggio ai partiti?

Quello di un richiamo alla realtà e al senso di responsabilità. Alla realtà, perché i partiti vorrebbero cose per le quali non hanno i numeri. E alla responsabilità nei confronti del paese: è loro dovere mettersi d’accordo. Mattarella ha fatto capire che dobbiamo ragionare con le categorie del proporzionale e non del maggioritario.

Ossia con quelle del compromesso. Un messaggio a Di Maio?



Non solo a lui, ma il messaggio a Di Maio c’è per forza. Qualcuno ancora pensa che compromesso sia una brutta parola, ma nel proporzionale il compromesso è la norma, senza non si va da nessuna parte. 

Quale può essere stata la reazione di Mattarella nel sentir parlare di contratto alla tedesca e di soli due interlocutori, Lega e Pd?

Se gli altri ci stanno, l’idea può anche andargli bene: attualmente Mattarella non sta lavorando a uno schema suo, è aperto a qualsiasi combinazione che regga. Con l’avvertenza, però, che questa dovrà superare un attento screening dei programmi e degli uomini. 

Davvero il presidente è neutrale rispetto agli schemi dei partiti?

Sì, perché il primo scoglio è quello della consistenza numerica della maggioranza di governo. Poi vengono la consistenza politica e le prospettive.

Se le cose stanno così, siamo ancora fermi.

Sì; e la prova è che nessuno oggi ha chiesto l’incarico o almeno nessuno ha detto apertamente di averlo fatto. Vuol dire che tutti sono consapevoli di non aver i numeri e che chiedere l’incarico adesso vuol dire bruciarsi.

Berlusconi ha detto no ad un governo di “pauperisti”: una risposta dovuta all’ostilità di Di Maio. Poi è arrivata la bordata del leader grillino: per lui il centrodestra non esiste. 

Uno pari. Soprattutto, nessuna delle due uscite ha fatto piacere alla Lega. Tanto è vero che in serata Giorgetti ha bacchettato Berlusconi: “tatticamente ha sbagliato”, ha detto il braccio destro di Salvini.

C’è un dato: non ci sono i numeri per un governo tecnico. FI e Pd sarebbero favorevoli, ma M5s e Lega sono contrari. Un punto a loro favore rispetto al Quirinale?

Questo in effetti è un impasse anche per il Colle. Mattarella può concedere tempo, ma nessuno può dire quanto. Io credo poco all’ipotesi del voto a giugno: vorrebbe dire sciogliere le camere entro il 9 maggio.

E il voto a ottobre?

Se si incarta tutto, è una prospettiva possibile e realistica. Certo sarebbe complicato che a portarci alle urne fosse Gentiloni; ci vorrebbe un governo costituito appositamente. La verità è che le opzioni sono ancora tutte in campo, intatte. C’è innanzitutto da capire se i colloqui tra Salvini e Di Maio porteranno a qualcosa. Il problema però rimane Berlusconi.

Perché?

Perché non credo che Salvini abbia un grande interesse a separarsi da lui e Di Maio, ma soprattutto il suo elettorato, fa una fatica bestiale a inghiottire il boccone. 

E il no di Berlusconi a M5s è un’arma pesante nei confronti di Salvini. 

Assolutamente sì. Salvini è molto determinato nel porsi come mediatore, del resto è tra due fuochi e non può far altro che tentare di trovare una via intermedia. Non è detto che questo gli basti. 

L’intransigenza di Di Maio potrebbe diventare un fattore di debolezza? 

Sì, perché se i 5 Stelle si intestardissero a volere tutto e subito, potrebbero anche rimanere tagliati fuori. Un governo del centrodestra con un appoggio esterno del Pd dal punto di vista numerico starebbe in piedi; dal punto di vista politico risulterebbe pesantissimo da difendere, anche perché il Pd potrebbe mandare tutti a casa quando vuole. Inoltre sarebbe un regalo elettorale clamoroso ai 5 Stelle.

Potrebbe essere questo il loro obiettivo, cioè volere tutto per far saltare il tavolo e tornare alle urne? Onesti e incontaminati fino alla vittoria definitiva?

Io credo che i 5 Stelle non abbiano interesse a tornare a votare: hanno ottenuto un grande consenso e sarebbe politicamente grave se non riuscissero a capitalizzarlo. Il voto potrebbe invece allettare di più Salvini, intenzionato a consolidarsi come leader del centrodestra.

Di Maio ha dichiarato che il suo primo interlocutore è il Pd. Dice la verità?

Bella domanda. Circolano alcuni sondaggi che vedono più favorevole l’elettorato 5 Stelle a un patto con la Lega, e solo con essa, rispetto a un patto col Pd. Va detto che i segnali al Pd servono tatticamente per tastare il terreno e anche per far ingelosire Salvini.

Secondo lei il Pd è realmente congelato?

Fino al 21 aprile sì. Poi dipenderà da chi vince. Se a vincere fosse Martina, ci sarebbe una grande continuità con Renzi. Il messaggio sarebbe chiaro: il Pd non è disponibile.

Quali sono i margini di manovra da qui alle prossime consultazioni?

Un progresso ci dovrà essere, perché sarebbe complicato tornare da Mattarella per dire che si sta a zero. 

A quel punto cosa farebbe il capo dello Stato? 

Probabilmente chiamerebbe tutti i partiti e li metterebbe davanti alla responsabilità di dire sì a una soluzione terza, esterna. Il punto, torno a dire, è che Mattarella non dà incarichi senza una previa verifica dei numeri. Oggi lo ha detto con grande chiarezza e i partiti hanno sicuramente recepito il messaggio. 

(Federico Ferraù)