Vertice ad Arcore, grigliata a Ivrea, faccia a faccia in Rai. La domenica che doveva sciogliere qualche nodo è finita con l’ingarbugliarne altri. Ad Arcore si sono visti Berlusconi, Meloni e Salvini per mettere a punto la strategia in vista del secondo giro di consultazioni al Quirinale. L’esito è la conferma che i tre saliranno al Colle con una delegazione unica, che chiederanno l’incarico per uno di loro e che Salvini non ha affatto intenzione di mollare il Cavaliere. Finora il pallino della crisi l’aveva fatto sparire Luigi Di Maio. Ora si riparte dal centrodestra. I 5 Stelle che speravano di staccare Salvini da Berlusconi devono cambiare strategia.
Il comunicato emesso alla fine del vertice è secco. Addirittura, si lascia capire che il centrodestra sarebbe pronto a presentarsi in Parlamento in cerca dei voti mancanti. Idea strana, perché il presidente Mattarella non sembra propenso a distribuire incarichi alla cieca. L’interpretazione autentica viene da Giancarlo Giorgetti, assente ad Arcore perché impegnato a duellare in tv con Lucia Annunziata. Ed è, ancora una volta, una porta aperta ai grillini. Il numero 2 della Lega ripropone la politica dei passi indietro che ha condotto all’elezione dei presidenti delle Camere. La Lega potrebbe rinunciare alla premiership per fare largo a un nome “terzo”, Forza Italia farebbe cadere le pregiudiziali verso i 5 Stelle e altrettanto dovrebbe fare Di Maio, accantonando anche la prospettiva di insediarsi lui a Palazzo Chigi. In realtà, facendo i conti, i passi indietro richiesti ai grillini sono più d’uno. Digerire il Cavaliere e rinunciare a guidare il governo sono richieste pesanti per Di Maio.
Comunque sia, a quel punto si sarebbe creato il clima giusto per un contratto di governo alla tedesca, cioè il metodo rilanciato da Di Maio nei giorni scorsi, per arrivare a un esecutivo guidato da una figura di garanzia per tutti (non ancora individuata) con un programma di pochi punti condivisi. Questo lo schema leghista. Che mette a nudo la strategia grillina. Finora Di Maio ha chiesto incontri senza ottenerli e non ha fatto passi avanti verso il governo. Ha detto che vuole essere lui il presidente del Consiglio e che è pronto ad aprire le braccia alla Lega dopo che si sarà sbarazzata di Berlusconi.
Ora è il segretario leghista a condurre le trattative, ed è curioso ripensare a pochi mesi fa, quando Salvini era un eurodeputato che faceva la corte alla Le Pen e parlava soltanto di abolire la legge Fornero e alzare muri ai confini. Oggi invece si sta costruendo un’immagine da leader “responsabile”, preoccupato di non lasciare troppo a lungo il Paese senza un governo ma allo stesso tempo chiaro nella comunicazione e lineare nella strategia. Mentre Di Maio si accartoccia attorno a politiche veterodemocristiane come quella dei “due forni” e a veti assoluti, Salvini si ripulisce presentandosi come quello del “passo indietro per fare tutti due passi avanti”, quello che non vuole raccattare voti a tutti i costi, quello che non intende lasciare mano libera all’Europa nel prendere decisioni che ci riguardano mentre noi non abbiamo nessuno da mandare al tavolo dove si comanda.
Il Pd potrebbe chiudere la partita accordandosi con Di Maio. Ma al momento i democratici sembrano ancora sotto l’effetto del ko del 4 marzo, in uno stato confusionale. Nessuno è in grado di scuotere il partito. L’unica trincea comune è di restare all’opposizione, lasciare che Salvini e Di Maio si scornino e poi si vedrà. A metà settimana si riaprono i portoni del Quirinale e tutto lascia intendere che le consultazioni non registreranno progressi nemmeno questa volta.