Di Maio urla e si agita a sproposito: le elezioni a giugno non sono più possibili. Fuori tempo massimo. Se la Costituzione stabilisce un tempo minimo di 45 giorni dallo scioglimento delle Camere al giorno del voto, il regolamento applicativo del voto all’estero parla di 60 giorni. Dunque, un eventuale ritorno al voto non potrebbe concretizzarsi prima di luglio. Ma dalle parti del Quirinale non si prende minimamente in considerazione il voto in estate: vorrebbe dire provocare gli elettori all’astensione.
In realtà ai 5 Stelle non è andata affatto giù l’ennesima puntata della faida interna del Pd, con Renzi più preoccupato di ridurre all’impotenza Martina e Franceschini che di negarsi ai grillini. Ma il risultato non cambia: no al “governo del cambiamento”. E no ai governi possibili con l’inossidabile Berlusconi, quasi che i suoi conflitti di interesse fossero ontologicamente diversi da quelli che affliggono una società privata, la Casaleggio Associati, che tiene sotto contratto (!?!) centinaia di eletti dal popolo.
Mattarella sta dando fondo al suo sangue freddo. No alle urne nell’immediato. No ad una chance alla coalizione vincente del centrodestra, che anche se minoranza in parlamento, se bocciata in aula si troverebbe a gestire in qualità di governo sfiduciato la delicata fase elettorale. E allora via libera al “governo di traghettamento”, con figure neutre, leggi gradite all’area Franceschini e studiate per avvicinare in futuro Di Maio ed un Pd derenzizzato. Tra i Cassese Boys and Girls si stanno scaldando in molti e poi a febbraio 2019 si vota, ancora un parlamento partorito dal gelo incapace di cuocere il pane del governo, che deve sfamare una nazione sempre più provata da una politica di magliari di professione.