Debordante vittoria della Lega, bassa affluenza e crollo di M5s, risvegliatosi ieri mattina al 7,1 per cento. Tre fattori di questa tornata elettorale regionale in Friuli Venezia Giulia su cui fare luce. “Sono tre elementi strettamente correlati — dice al Sussidiario Paolo Possamai, direttore del Mattino di Padova dopo aver guidato fino al 2016 Il Piccolo di Trieste —. I 5 Stelle non sono più il partito del cambiamento. La rivoluzione è finita” dice Possamai.



Alle regionali del 2013 la lista dei 5 Stelle aveva ottenuto il 13,7 per cento. Cosa non ha funzionato?

Il voto a M5s è liquido, estremamente mobile, ma in questa tornata ha scontato una serie di fattori di debolezza. Il candidato presidente, Morgera, è stato inventato all’ultimo minuto, e i candidati al consiglio regionale, che sono il principale motore del risultato elettorale, hanno dimostrato di non avere un radicamento vero e dunque un seguito personale forte.



Ha pesato anche il livello nazionale del confronto politico?

Sì. L’idea che nei due forni di Di Maio possano entrare indifferentemente sia il pane della Lega sia quello del Pd, a una quota importante dell’elettorato grillino non sta bene.

Anche le politiche hanno registrato un calo.

27,2 per cento nel 2013 e 24,6 nel 2018. Insomma M5s non cresce e non viene ritenuto sufficientemente attendibile.

Cosa le dicono, presi insieme, i risultati di M5s e Lega?

Dove c’è una Lega così forte, M5s non ha lo spazio per espandersi. 

Il Partito democratico?

Alle regionali del 2013 ha preso il 26,8 per cento, oggi è ridotto ai minimi termini, se pensiamo che ha guidato la regione negli ultimi 5 anni con una presidenza di visibilità nazionale come quella della Serracchiani. Insieme alla Lega, ha contenuto a suo modo i 5 Stelle.



L’affluenza si è fermata al 49,6 per cento. Non è un dato lusinghiero per il civilissimo Friuli Venezia Giulia.

A Torino, a Roma, nel resto del Nord, gli elettori “contro”, invece di non votare, hanno manifestato il loro totale disaccordo con gli altri partiti strutturati votando M5s. Se in Friuli Venezia Giulia una quota così importante dell’elettorato è rimasta a casa, vuol dire che i 5 Stelle non sono più ritenuti attrattivi. Non sono più il vettore di un cambiamento possibile. 

Eppure, tutti i sondaggi davano i 5 Stelle intorno al 25 per cento.

Appunto. Se li riteniamo almeno in parte fondati, dobbiamo ammettere che un elettore su 4 aveva intenzione di votare 5 Stelle. Ma non l’ha fatto.

In questa decisione ha influito anche quello che è successo dal 4 marzo fino a oggi?

Sì. Il fatto che Di Maio stia ballando da due mesi un valzer alternativamente con Martina e Salvini, non è piaciuto agli elettori.

Perché secondo lei? Eppure, ha tentato a suo modo di trovare una soluzione al problema del governo.

Diciamo che Di Maio ha dato l’impressione di guidare un veicolo di cambiamento che sta prendendo molto i colori delle istituzioni. Non so se la parabola di M5s sia finita, di sicuro è finita la rivoluzione.

Il risultato di queste regionali sarà usato politicamente?

Non c’è dubbio. Salvini ha in mano un grimaldello straordinario.

Da usare contro chi?

Contro Di Maio in primo luogo. Poi contro Berlusconi: in Friuli-VG tre voti sono della Lega e uno di FI. Un rapporto di forza che non ammette discussioni. Potrebbe legittimamente usare il risultato anche con il Quirinale, chiedendo essere l’incaricato.

Ieri, dopo che Renzi ha chiuso la porta del Pd, Di Maio ha proposto a Salvini di chiedere insieme il voto anticipato.

Di Maio e Salvini sanno benissimo che è estremamente improbabile un turno elettorale straordinario, per la banale ragione che a legge elettorale invariata ci ritroveremmo esattamente nello stessa situazione bloccata di oggi. Entrambi il giorno dopo il voto sarebbero nella situazione spiacevole di chiedere scusa agli italiani. 

Per Di Maio invece il ballottaggio lo farebbero gli elettori nelle urne.

Difficile dirlo. Votare in queste condizioni è una specie di roulette russa e non credo che nessuno dei due voglia davvero scoprire se gli capita la pallottola. Nel frattempo però bluffano sulle spalle di un’Italia bloccata. 

Secondo lei c’è una soluzione?

Il mio auspicio è che in Parlamento si trovi al più presto un accordo, e che si formi un orientamento utile per una riforma della legge elettorale. L’unico modello che ha funzionato in Italia in 25 anni è quello per l’elezione dei sindaci, cioè un sistema a doppio turno con ballottaggio. I sistemi misti ci hanno sempre messo in un vicolo cieco, obbligandoci ogni volta a ripartire da capo.

(Federico Ferraù)