Alle nove di sera Silvio Berlusconi dà l’ok con una nota alla nascita del governo, spiegando che non darà la fiducia all’esecutivo Lega-M5s, ma non porrà nemmeno un veto. Anzi, Berlusconi garantisce che il nuovo governo “non segna la fine dell’alleanza di centro-destra”. In Transatlantico il clima è di pericolo scampato: il voto anticipato. Ma anche di fatica di una trattativa ancora tutta da definire.
Gli unici che ci credono fino in fondo sono i parlamentari del Pd: scampato pericolo anche per loro, se nasce un governo. Le avvisaglie di nuove guerre interne sulle candidature ci sono già tutte, con Matteo Renzi deciso a far correre Paolo Gentiloni come candidato premier ma determinato a non mollare sulla segreteria e dunque a controllare le liste, con uno dei suoi (Lorenzo Guerini), invece che Maurizio Martina. Invece se nasce un governo, il Pd terrà la sua assemblea comunque il 19 maggio per lanciare il congresso: ne avrebbero tutto il tempo. In quel caso la reggenza del Pd spetta al presidente Orfini per statuto ed il risultato non cambia: in caso di elezioni le liste le fa Matteo.
Ma veniamo a Silvio: il duo Ghedini-Ronzulli, pro Salvini, e quello Letta-Confalonieri, spaventati da Di Maio, gli impongono la resa. Berlusconi la vende da par suo facendo intuire di potersi riorganizzare. La verità è che Silvio ha ceduto il passo. Ed il suo curatore fallimentare si chiama Matteo. Per il cognome fate voi.
Più lontano, sullo sfondo del corridoio di Montecitorio i Fitto, i Quagliariello, i Casini (oggi guarda un po’ in cravatta verde Padania), i tre seguaci di Cesa si sforzano di far capire a delle seconde file leghiste che loro “non è vero che sono tornati in Forza Italia”, “mai stati renziani”, “lo sa anche Di Battista che io con Silvio ho rotto in tempi non sospetti”. Qui non si parla di segretari come nel Pd ma di sottosegretari. Sipario.