Vuoi vedere che alla fine aveva ragione lui, il vecchio Silvio riabilitato? Quando ha mollato il colpo per lasciare il campo ai ragazzi sembrava un generale dopo l’ultima battaglia. Era il momento in cui i colonnelli dovevano dimostrare il loro vero valore. Ed eccoli qui, la domenica sera, baldanzosi a chiedere un appuntamento al Quirinale per garantire che ormai è praticamente fatta, e il lunedì pomeriggio, nervosi dopo i colloqui perché in realtà la quadra non c’è, il contratto non è stato firmato, le distanze restano e soprattutto manca l’accordo sul nome del presidente del Consiglio.
Il problema è quello, nonostante i proclami: il nome per la guida del governo. Un premier non è un algoritmo che elabora i dati del contratto di programma e li applica, e neppure un puro esecutore delle volontà altrui. Dal momento in cui sarà incaricato, il presidente del Consiglio diventa l’interlocutore del Colle e poi sarà lui il responsabile della linea politica del governo. Ci saranno anche divergenze sul programma, ma la spaccatura tra Salvini e Di Maio si è aperta ieri sul nome per Palazzo Chigi.
Dei due leader, il più nero dopo il colloquio con Mattarella era Salvini. E il motivo è che poco prima Di Maio aveva detto che l’unico premier possibile “di alto profilo politico” non era il professor Giuseppe Conte ma lui stesso, il capo politico dei 5 Stelle, mentre Salvini nomi non ne aveva dopo che Giulio Sapelli era stato impallinato. Era scattata la trappola che Berlusconi aveva pronosticato: il leghista costretto a fare il numero 2 del grillino. Così a Salvini non è rimasto che alzare la posta, chiedere “mano libera” sugli immigrati, pugno duro contro l’Europa e i “vincoli esterni” che il Quirinale non smette di richiamare, libertà di abolire la legge Fornero.
Immigrazione, giustizia, infrastrutture: questi sono i temi citati apertamente da Salvini dopo aver parlato con Mattarella per indicare le persistenti distanze. Paletti molto alti che fanno capire tutti i dubbi di Salvini sull’accordo con Di Maio. E poi ci sono i gazebo del fine settimana per non essere un passo indietro a Giggino: i grillini hanno la piattaforma Rousseau dove far valutare il contratto di governo dal loro elettorato, i leghisti hanno le tende. Computer contro piazze per predisporre ciascuno un’uscita di sicurezza se il gioco diventasse troppo pericoloso.
Ma il preavviso di rottura scocca quando Salvini ricorda di aver dato come “precondizione” per riavviare la trattativa con i 5 Stelle quella di non rompere con la coalizione di centrodestra, con i 12 milioni di elettori che hanno mandato in Parlamento la Lega, Forza Italia e Fratelli D’Italia. Nello Studio alla Vetrata del Quirinale, Salvini ringrazia “il presidente Berlusconi e il presidente Meloni”. Un modo per ribadire che lui, in qualche modo, è lì anche per conto loro; che il programma va fatto in un certo modo, che i nomi per Palazzo Chigi vanno concordati e che non ci sono timori per un eventuale ricorso immediato alle urne. “O si comincia o ci salutiamo”: ultimo avvertimento. Mattarella concede ancora tempo. Ma il sentiero è sempre più stretto.