“Io con Palermo un po’ ce l’ho”, dice Giuliana, e raddoppia la “elle” e arrotonda la “o” come solo le donne siciliane sanno fare. “Sono farmacista, lo sa?”, chiede, e fa bene, perché il grembiule e la cuffietta da cameriera di un’arancineria sicula (ottima) nel cuore di Bergamo non testimoniano una laurea scientifica. E come mai Giuliana si trova a mille chilometri di distanza da Palermo, e da quando, e perché “ce l’ha” con la sua terra?



“Gliela faccio breve”, racconta asciutta e diretta come se stesse parlando di un’estranea. “Quattro anni fa aprii una parafarmacia nel mio paese, fuori Palermo, no, non le dico qual è. Ci misi dentro tutti i miei soldi, un po’ mi aiutarono i genitori, insomma partii. Certo, fu dura: in un piccolo centro ci si conosce tutti, si affaccia l’amico, ti chiede il latte in polvere per i bambini e ti promette che poi ti pagherà: che fai, non glielo dai? Insomma, a fine mese arrivavo rasa-rasa”, cioè con giusto i soldi per non rimetterci. “Però ero contenta, e tenevo duro. Finché il 28 novembre del 2015 entrarono in negozio tre signori con la coppola, mi sembrava un film”. Non era un film. Le chiesero, ovviamente, impunemente, semplicemente: il pizzo. “E io gli chiesi qualche giorno per organizzarmi, ma appena uscirono, ancora tremavo, dentro, per lo schianto, chiamai mio cugino, il commercialista che seguiva l’azienda, e gli dissi: prepara le carte, io chiudo”. 



Nessuna resistenza, nessun petto in fuori contro le forze oscure della malavita? Nessuna, perché forse ci sono molte frottole dietro la retorica degli eroi del “no”. Esistono, certo, e meritano la massima ammirazione, ma sono eroi sul serio; ma stanno alle persone normali – e normalmente indifese – come Mike Tyson starebbe all’Omino di Charlot. “Se li denunciavo, mi facevano saltare la serranda. Se non pagavo, pure. Se andavo in banca, soldi non me ne davano. Se andavo dagli strozzini, ci rimettevo il negozio e la salute”.

Giuliana non lo ammette a voce, ma con lo sguardo sì. Ha votato Lega. Una siciliana di 38 anni, emigrata da due a Bergamo, che vota Lega. Che chiede sicurezza. Un’elettrice ideale per una sinistra che fosse stata – rimasta – vicino ai problemi della gente normale. Di quella grandissima parte della popolazione italiana che lavora, guadagna il giusto o neanche, e chiede semplicemente di essere protetta dai criminali, di avere servizi pubblici decenti, di non essere sfondata da tasse tanto più gravose quanto più cerchi di pagarle. Una grandissima parte di popolazione che dal 2008 a oggi ha sofferto, ha perso lavori e lavori, ha ridotto il tenore di vita e tirato la cinghia, ma la sinistra non c’era, tutta avvitata nel proprio benpensantismo, nel proprio professionismo garantista indifferente al teatro quotidiano della malavita stradale e del malessere dei diritti calpestati ai buoni e dei doveri ignorati dai protervi, incamponita a perseguire, con la sua magistratura faziosa, soltanto i complotti da prima pagina.



È anche questa la massa di manovra che oggi vota Salvini, che ha votato Cinquestelle. Abbandonata prima dai paladini naturali, quelli della sinistra; poi da Berlusconi, con le sue promesse vane. E oggi frastornata dal carosello di scaramucce sottobanco incomprensibili, da promesse mirabolanti e avvisaglie indecifrabili di incapacità banali nel costruire accordi anche soltanto minimi. Non è vero che gli opposti populismi si attraggono. Si specchiano, sissignore, nelle comuni antipatie per la Fornero piuttosto che per la Merkel. Ma la calamita che può avvicinarli è solo quella dello sfascio, della congiunta opposizione a una serie di “poteri forti” che non vogliono né possono avallare, per non tradire la base elettorale. Ma la pacchia dell’opposizione è finita, quel voto popolare – la benedetta democrazia, che la ridicola piattaforma Rosseau s’incarica di caricaturare come nemmeno Crozza saprebbe – costringe i vincitori a provarci, e bravo Mattarella a incastrarli nel ruolo, che almeno si sporchino le mani e si sputtanino.

Certo non li unisce in alcun modo la ricerca autentica della costruzione condivisa di un edificio governativo e programmatico per il quale a entrambi mancano sicuramente le risorse economiche rispetto alle promesse mirabolanti che hanno diffuso a piene mani per attirare allodole elettorali, mancano in modo e misura diversa le competenze, più esercitate quelle dei leghisti – esempio di buon governo, per com’è possibile che sia in Lombardia e Veneto – più acerbe per non dire inesistenti quelle dei Pentastellati. E mancano gli uomini, soprattutto a quest’ultimi.

E dunque, quali chance di realizzare un governo stabile si possono accreditare a questi qui? Praticamente zero. Un governo che abborracci qualche mossa di nessun rilievo, forse anche sì: vedremo nei prossimi giorni (dice Di Maio) od ore (dice Salvini). Ma di un governo decente, che governi e sussurri all’Europa, non se ne parla proprio.