L’accordo sul programma è chiuso tra Lega e 5 Stelle, forse anche il futuro premier ha un nome, quello di Emilio Carelli, giornalista bipartisan che diresse prima il Tg5 e poi il telegiornale di Sky, neoeletto in Parlamento con i grillini. Quindi il puzzle sembra comporsi, anche se la strada è ancora lunga. Ed è un quadro che tende più al giallo che al verde. Grillino il probabile premier, grillina l’impronta fondamentale del programma, grillino lo schema del contratto. Certo, c’è anche una spolverata di antieuropeismo e una stretta sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, e ci sarà pure la firma del signor Matteo Salvini, come si legge nel frontespizio del patto che ormai circola liberamente sul web.
Dopo aver tergiversato negli ultimi giorni per alzare l’asticella del contratto e sbarrare la strada all’ipotesi che a Palazzo Chigi andasse Luigi Di Maio, Matteo Salvini si è placato. E ha calato un po’ le brache. Dei ministeri di peso porterebbe a casa l’Interno cui vanno aggiunte l’Agricoltura e qualche dicastero di seconda fila, oltre al sottosegretariato alla presidenza del Consiglio per il fido Giorgetti. In sostanza, la Lega porta a casa un risultato analogo all’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi: il Carroccio ottenne l’Interno con Maroni e l’Agricoltura con Zaia, più un leghista mascherato come Tremonti all’Economia. Ma allora i partiti in coalizione erano ufficialmente quattro (Forza Italia, Lega, An, Udc), non due come adesso, e la fetta di torta per ciascuno era più piccola.
La lotteria dei rilanci leghisti sembra abbia sortito scarsi effetti. Salvini ha rinunciato alla premiership e ha accettato che agli Esteri e all’Economia vadano nomi sostanzialmente graditi al Quirinale. Il profilo non è altissimo. Nel governo del cambiamento, quello che riscriverà la storia d’Italia, la Lega si tiene un passettino indietro. Sembra tenere più al proprio elettorato, a ottenere mano libera su immigrazione e rimpatri. “Prima gli italiani” è lo slogan sovranista che ispira le mosse di Salvini, avendo stracciato il vecchio “Prima il Nord” che fece la fortuna di Umberto Bossi.
Potrebbe essere anche un modo per precostituirsi una via di fuga più percorribile nel caso in cui l’esperienza del contratto di governo non dovesse funzionare. Sì, c’eravamo, non dormivamo ma in realtà comandavano i grillini: sarà questa la giustificazione se l’esecutivo non decollerà. Ma per ora Salvini è intenzionato a farlo partire e a giocarsi tutte le carte possibili in chiave antieuropea. “Meglio barbari che servi”, ha detto ieri. E per sfidare un avversario così potente è meglio muoversi coperti. La battaglia si giocherà su quel terreno. A costo di danneggiare qualche portafoglio: chiedere di rinegoziare il debito pubblico significa allarmare i fondi (e i risparmiatori) detentori di Bot e Cct, che rischiano di ritrovarsi in mano titoli svalutati. Le borse ne stanno già risentendo.
Nel centrodestra la riabilitazione giudiziaria di Berlusconi ha di colpo invertito le parti: se prima era il Cavaliere a temere il voto, ora è Salvini che deve guadagnare tempo e approfittare dell’occasione forse irripetibile di entrare nelle stanze dei bottoni con le mani libere sui temi a lui più cari. Sarà un governo statalista, lontano dalla rivoluzione liberale promessa da Berlusconi. Dei punti promessi dal centrodestra in campagna elettorale, nel contratto gialloverde si sono salvati soltanto quelli di stampo leghista. Il leader di Forza Italia se ne tiene ben lontano. E gioca a fare il rappresentante delle preoccupazioni europee.