Ancora una volta un rinvio dell’unica decisione da prendere, se il Pd vuole davvero provare a salvare se stesso e vedere se è ancora utile all’Italia: e cioè capire chi comanda nel partito, se la stagione di Renzi è finita, e in base al verdetto dei numeri su questa questione, ormai dirimente per ogni altro discorso, qual è la linea politica da tenere sul nuovo governo che sta per nascere, e in genere sugli assetti politici e istituzionali che ne verranno fuori. 



Invece niente di fatto. La conta non c’è stata. O meglio c’è stata, ma in modo indiretto con l’accoglimento del cambio dell’ordine del giorno dell’assemblea proposto dal presidente Orfini: rimandare la questione del segretario e degli assetti interni, per un’analisi della situazione politica generale. Ed è stata una conta ancora favorevole a Renzi, nonostante la prima espressione larga, nel voto e nei boatos, del malcontento. Praticamente, la palla in tribuna per difendere la porta della squadra ancora in vantaggio, quella dell’ex segretario. 



Poi la fictio cui si è prestato ancora una volta Martina: “no a divisioni mentre l’Italia vive ore drammatiche”; e conseguente approvazione all’unanimità della sua relazione, che vuol dire semplicemente che il Pd è ostaggio del suo passato che non vuol passare, ed anzi pensa di poter essere ancora il suo futuro. 

Non si capisce come entrambe le parti non capiscano che si stanno logorando a vicenda, affondando sempre più nelle sabbie mobili dell’indifferenza del Paese ai loro diversi o uniti destini. Se hanno ancora un minimo di lucidità sarebbe meglio che si dividessero in modo consensuale. Renzi si faccia con i suoi il suo partito-movimento simil Macron, e così potremo magari sapere tutti quanto vale il “renzismo” sul mercato politico reale alle prossime elezioni; e magari in prospettiva potrà anche coltivare l’ambizione di ereditate il centrismo forzista che non vorrà scegliere il leghismo. 



E tutti gli altri, dissidenza renziana e fuoriusciti, si rimettano insieme e provino a vedere se con il marchio Pd o qualche altra cosa possono offrire di nuovo all’Italia un riformismo di sinistra o di centrosinistra. 

Converrebbe a tutti. Il renzismo potrebbe in prospettiva riequilibrare al centro il moderatismo italiano in chiave anti-sovranista riagganciandolo a un discorso nazionale ed europeo. E la sinistra potrebbe offrire una rappresentanza non populista al disagio di tanta parte dell’Italia, che è del tutto prevedibile che non scemerà presto. Magari, come le coppie scoppiate, il divorzio consensuale potrebbe farli riuscire a parlar meglio tra loro sugli interessi reali degli italiani, che non sono — ne abbiano contezza — quelli della loro sopravvivenza di ceto politico.

E come che vada, questo punto di chiarezza, dividersi, sarebbe un gran servizio reso alla decenza politica.