La vittoria elettorale di M5se Lega e la possibilità che i due partiti costituiscano un governo — che avrebbe dalla sua più della metà degli elettori — ha sollevato indignazione e sdegno nel mondo politico, tra i grandi media e quelli che si definivano “opinion leader”. Preziose indicazioni per leggere in modo non fazioso la situazione vengono dagli interventi sul Sussidiario di due professori, non certamente fanatici degli attuali vincitori: Mario Barcellona e Giulio Sapelli.
Nel suo articolo, il professor Barcellona usa espressioni forti, ma del tutto oggettive, quando scrive: “Anche chi non condivide affatto la nascita di questo governo non può non giudicare semplicemente intollerabile l’aria che ne ha accompagnato la formazione: un establishment come mai unito nell’offrire con sussiego Costituzione à la carte e superficialità strumentali di ogni genere pur di scongiurarlo”. E che: “queste ‘allarmate’ eccezioni sono solo, nella migliore delle ipotesi, un disperato tentativo di spingere Mattarella ad impedire la formazione di questo governo: il che è del tutto improponibile e sarebbe, questo sì, incostituzionale (oltre che inutile, visto il probabile esito di nuove elezioni)”. Viene alla mente l’intervista a Andrew Spannaus, dove il giornalista americano parla di “Un ceto di potere che si comporta tuttora come se nel 2016 avesse vinto Hillary Clinton. Non è tipico solo dell’Italia. Sono gli stessi che considerano la vittoria di Trump un incidente di percorso e che pensano che la vittoria dei partiti populisti non abbia nulla a che vedere con gli errori da loro compiuti”.
Insomma, queste reazioni mettono in luce, più che un semplice e pur acceso dibattito politico, il rifiuto di accettare il responso delle urne. Come dice Giulio Sapelli nella sua intervista, “Mi sorprende che le Camere non contino più nulla, a qualcuno fa comodo ignorarle”. E aggiunge: “Non eravamo una repubblica parlamentare? Forse quando Mattarella è andato a trovare Napolitano ha contratto la sua malattia”. Anche chi ritenesse eccessive le preoccupazioni di Sapelli per una deriva presidenzialista deve riconoscere che il Parlamento, e non da oggi, ha perso la sua centralità nel nostro ordinamento. Il presidente Mattarella, senza dubbio al di là delle sue intenzioni, rischia anch’egli di metterlo in ombra, dando l’impressione di voler costituire un governo a tavolino, anzi al suo tavolo.
In questo quadro vanno anche inserite le pressioni di Bruxelles e di altre istituzioni internazionali, e non c’è bisogno di essere un “sovranista” per considerarle imbarazzanti. Come furono quelle di Obama sugli inglesi prima del referendum sul Brexit e che gli meritarono una bruciante replica di Boris Johnson. Qualche perplessità solleva anche la decisione del Tribunale di sorveglianza di Milano che rende di nuovo candidabile Silvio Berlusconi. Le perplessità non sono sul merito della decisione — non ho la competenza per discuterne — ma sulla tempistica. Infatti, dopo la pronuncia del Tribunale, Berlusconi si è subito proposto per la presidenza del Consiglio. Fatte salve le intenzioni dei magistrati, l’esito è stato una ulteriore zeppa nelle discussioni per il governo, con la proposta di un governo di centrodestra che sarebbe decisamente minoritario in Parlamento, anche perché a questo punto difficilmente avrebbe i voti della Lega. Un tentativo di dar vita, nonostante tutto, a quel governo Berlusconi-Renzi bocciato dagli elettori?
Al momento in cui scrivo, la formazione del governo è ancora in discussione e vedremo come va a finire. Tuttavia, vale la pena di toccare un altro aspetto sollevato nel dibattito: che alla base dell’ingovernabilità vi sia l’attuale legge elettorale. Sembra difficile sostenere una tesi simile, visto che nell’attuale Parlamento è numericamente possibile la formazione di tre governi centrati su M5s: con il centrodestra, con la Lega e con il Pd. Con qualche difficoltà, si potrebbe anche ipotizzare un governo con centrodestra, unito, e Pd, anch’esso unito. Ciò che rende difficile ogni soluzione sono i veti incrociati dei partiti, o meglio dei capipartito.
Il Rosatellum non è piovuto dal cielo, è stato votato in Parlamento da Pd, Forza Italia e Lega, con l’opposizione delle sinistre e dell’M5s; per consentirne l’approvazione, il governo Gentiloni ha perfino posto più volte la fiducia. La legge è improvvisamente da rifare solo perché gli italiani non si sono espressi come volevano Renzi e Berlusconi. Come per il referendum renziano, dove gli elettori hanno fatto di testa loro e Renzi è stato costretto a rimanere in politica per poter correggere gli errori degli elettori. “Occorre” quindi rifare la legge elettorale ed è perciò considerata positiva l’ipotesi di un governo di transizione che, dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale e l’adempimento dei desiderata di Bruxelles, riconduca gli italiani alle urne per un voto più “accettabile”.
Prima delle elezioni vi sono stati inviti autorevoli, perfino dalla Cei, perché si andasse a votare, temendo che una forte astensione potesse favorire i partiti antisistema. In questa tornata ha votato circa il 73% degli elettori contro poco più del 75% del 2013, ma la sventata massiccia astensione non ha impedito il successo di M5s e Lega. Prima di andare a nuove elezioni, sarebbe opportuno far bene i propri calcoli, ricordando che per la maggioranza degli italiani i precedenti governi non hanno di certo lasciato in eredità uno Stato in perfetta forma.