Se sarà fumata bianca, il più sollevato sarà Mattarella. Se fra 5 Stelle e Lega ci sarà finalmente un accordo pieno, il Capo dello Stato avrà raggiunto il suo obiettivo. O meglio, uno dei suoi obiettivi. Il governo di tregua (o neutrale che dir si voglia) era una extrema ratio cui il Capo dello Stato si sarebbe sentito costretto dalle circostanze. Ma lo avrebbe varato malvolentieri, perfettamente conscio delle critiche che gli sarebbero piovute addosso.
Un governo politico è la regola della democrazia, ha spiegato in più occasioni lo stesso Mattarella. Il problema, però, è se un governo qualsiasi faccia il bene del paese. Non è così, e il preludio all’esecutivo gialloverde è stato inquietante: prima la bozza che prevedeva la richiesta del taglio del debito alla Bce, poi l’annunciato stop alla Tav sono stati pessimi biglietti da visita. In ballo la credibilità internazionale dell’Italia. E a suonare il campanello d’allarme è arrivata la scarica di avvertimento del piccolo balzo in alto dello spread.
Mattarella da settimane ammonisce che è pronto a utilizzare tutte le prerogative presidenziali, dal rinvio alla Camere delle leggi senza coperture finanziarie, al negare la firma ai disegni di legge d’iniziativa governativa se giudicati palesemente incostituzionali (potere assai raramente usato in passato). E’ giunto il momento di passare dalle parole ai fatti, a partire dal sindacato sul nome del candidato premier, e poi sui ministri.
Quando riceverà Di Maio e Salvini il presidente si troverà di fronte alla certificazione di una candidatura “terza” per Palazzo Chigi che non gli farà fare i salti di gioia. Si tratterà probabilmente del professore Giuseppe Conte, che non è neppure parlamentare, e decisamente poco conosciuto. Nei colloqui riservati al Quirinale ai due leaders è stato fatto presente che questo costituisce un grosso elemento di debolezza del governo nascente. “E una telefonata a Macron, chi la fa, Conte? Conte chi?”, sarebbe stata l’osservazione.
Salvini, però, si è fatto precedere da un minaccioso avvertimento: “Speriamo che nessuno metta veti sui nomi e suoi cognomi”. Frase sibillina che può avere almeno due livelli di lettura. Il primo è riguardo al premier, come ammonimento al presidente a non provare a giocare al rialzo, ipotizzando Di Maio alla guida del governo: il delicato castello di carte costruito nei 78 giorni trascorsi dalle elezioni crollerebbe in un solo istante. Il secondo livello attiene alla lista dei ministri, alla possibile bocciatura dello stesso leader leghista, che già si vede sulla cruciale poltrona di ministro dell’Interno.
Da parte del Quirinale però non si intende offrire alibi con veti, ma ottenere garanzie. Certo, per Palazzo Chigi c’erano nomi forse più attrezzati, come quello girato nelle ultime ore dell’economista Paolo Savona, il cui limite oggettivo però sono gli 82 anni d’età. La vera partita a scacchi Mattarella la giocherà con il presidente incaricato sulla lista dei ministri.
Quattro almeno sono le poltrone per le quali il Colle pretenderà garanzie: Interni, Esteri, Economia e Difesa. Ne va della collocazione euroatlantica del paese, e della stabilità dei conti pubblici. Sulla Farnesina sembra che la rassicurazione al presidente e agli alleati avrà il volto di Giampiero Massolo, diplomatico di lungo corso, già a capo dei nostri 007. I nodi restano il dicastero che controlla i cordoni della borsa e quello da cui si gestiscono le nostre missioni militari all’estero, una postazione alla quale Mattarella, a suo tempo anche ministro della Difesa, tiene particolarmente.
E’ di tutta evidenza che siamo soltanto al principio di un braccio di ferro destinato a durare. Comincerà sul nome dei ministri, e proseguirà per tutta la durata del governo che nasce. Non sarà facile tenere la strana creatura gialloverde entro gli argini della Costituzione e del buonsenso, ma al Quirinale si prepara il filo spinato per una lunga guerra di trincea. O il governo che nasce troverà un minimo di sintonia con il Capo dello Stato, oppure lo scontro potrebbe essere continuo e strisciante. Roba da far impallidire Scalfaro e Berlusconi.