Nemmeno il tempo che Matteo Salvini lasciasse il Quirinale dopo aver fatto anch’egli, come Luigi Di Maio, il nome di Giuseppe Conte come premier del prossimo governo bicolore Lega-5 Stelle, e già dalle stanze più segrete del Colle trapelavano segnali di irritazione. Sergio Mattarella ha concesso 80 giorni alle forze politiche uscite dalle elezioni del 4 marzo per ritrovarsi una proposta rabberciata, con l’ennesimo candidato premier non eletto, un tecnico dal curriculum accademico di riguardo come ce l’hanno decine — forse centinaia — di altri professori di diritto (o di altre materie), privo di esperienza non diciamo di governo ma neppure di un consiglio di amministrazione di un’azienda importante, di un consiglio regionale, comunale, municipale. Zero rapporti con i leader europei. Una degnissima persona, certo, tuttavia di brava gente per fortuna ce n’è ancora tanta in Italia nonostante le lamentele. Ma non basta la buona volontà o aver frequentato qualche università straniera, sia pure prestigiosa, per poter fare il presidente del Consiglio.
Dopo aver ricevuto i nuovi dioscuri della politica italiana, ieri pomeriggio il capo dello Stato ha fatto quello che ha già fatto dal 5 marzo in poi: prendere tempo. Per questa mattina ha convocato i presidenti delle Camere. Nel pomeriggio odierno l’impegno a Civitavecchia per la partenza della “Nave della legalità” non è stato annullato. L’incarico dunque non arriverà in giornata, al più mercoledì, ma dai corridoi del Quirinale rimbalza la voce che potrebbe slittare addirittura a fine settimana. È una frenata all’entusiasmo di Salvini e Di Maio, usciti dallo studio del presidente come se il governo fosse già fatto.
Nella prudenza di Mattarella si mescolano diversi fattori. C’è il rispetto puntuto delle regole costituzionali che non fanno del presidente un semplice notaio: la nomina del capo del governo è una delle sue prerogative principali e il Quirinale non può lasciare che tutto venga deciso da Di Maio e Salvini. C’è l’opportunità di prendere una pausa di riflessione ulteriore senza limitarsi a prendere atto. C’è la volontà di sentire il parere delle principali cariche istituzionali, cioè i presidenti delle Camere, ai quali era stato affidato un mandato esplorativo e il cui consiglio può essere di grande aiuto.
C’è poi l’attenzione ai partner europei e ai mercati borsistici, che — spesso lo si dimentica anche per ragioni di comodo — non sono delle entità ostili che odiano l’Italia e tramano per condizionarne le scelte: più banalmente sono le realtà finanziarie che detengono gran parte del nostro debito pubblico e possono influire sui rendimenti di Bot e Cct in mano ai risparmiatori italiani.
Ma c’è un ultimo elemento, non meno importante. Mattarella ha esercitato fino all’ultimo una pressione discreta perché il premier fosse una figura politica, non un professore di diritto civile che ha partecipato a qualche convention grillina. Un politico eletto dal popolo ha un peso ben diverso da quello di un tecnico pescato in università. Non c’è un veto del Colle sulla persona del professor Giuseppe Conte, ma una legittima preoccupazione sulla sua capacità di reggere il confronto con i partner europei, di indirizzare l’azione di governo (compito che la Costituzione affida espressamente al premier) e di governare le scelte economiche nel contesto europeo. E questa preoccupazione del Colle spiega perché sia Di Maio sia Salvini abbiano ripetuto che Conte sarebbe un premier politico, non il quinto capo del governo non eletto direttamente dal popolo.
La “moral suasion” di Mattarella, a quanto risulta, si è fatta sentire fino a pochi minuti prima che si aprissero le porte del Quirinale alle due delegazioni. Il principale destinatario era Matteo Salvini perché desse via libera a un incarico a Di Maio. Ma il segretario della Lega non ha ceduto. E neppure Mattarella. Il quale ha deciso di prendersi altri giorni di riflessione quantomeno per verificare le reazioni delle cancellerie europee e dei mercati. All’uscita dai colloqui di ieri pomeriggio, Di Maio è apparso molto più giulivo di Salvini: il capo politico dei 5 Stelle ha capito che la porta di Palazzo Chigi per lui non è ancora definitamente sbarrata.