“Negli scorsi giorni si è tentato di imporre al presidente della Repubblica un diktat sulla composizione del governo, per impedirgli di svolgere pienamente il ruolo attribuitogli dalla Costituzione“. Sono queste le parole che aprono la petizione in favore del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in difesa della massima carica dello Stato dopo gli attacchi subiti in merito alla vicenda della mancata partenza del governo “gialloverde” a guida del professor Giuseppe Conte. L’iniziativa è partita da due esponenti toscani del PD, Vannino Chiti (che ha messo a disposizione il suo sito www.vanninochiti.com per raccogliere le firme) e Claudio Martini. Ma con diversi altri illustri firmatari ed esponenti della politica che si sono definiti “un gruppo di cittadini impegnati nel rinnovamento della politica”, che vogliono respingere con forza l’ipotesi dell’impeachment avanzata nelle ultime ore da parte del Movimento 5 Stelle. Le adesioni sarebbero già centinaia, in crescita anche nelle ultimissime ore. (agg. di Fabio Belli)
SALVINI: “NON E’ GUERRA TRA ME E IL COLLE”
Intervenendo a Pomeriggio 5, su Canale 5, il leader della Lega Matteo Salvini è stato interrogato a riguardo di un suo eventuale interesse a seguire Di Maio e Salvini nella richiesta di impeachment per il Capo dello Stato: «L’impeachment al Presidente della Repubblica? Io faccio una cosa se ne sono convinto. Non è una guerra tra me e Mattarella. Dico solo che il Capo dello Stato si è preso una grossa responsabilità», spiega il segretario della Lega che poi aggiunge nella sua invettiva contro la scelta del Colle di “sciogliere” il governo Lega-M5s, «Le prossime elezioni saranno un referendum tra chi difende le banche e chi difende gli italiani». Tradotto: la Lega non vuole inimicarsi troppo il Colle e soprattutto non lo ritiene responsabile in ultima analisi di quanto successo, semmai Salvini ritiene Mattarella “costretto” da qualcuno ha prendere una decisione assurda e anti-democratica. L’Ue e i mercati pro-Berlino sono stati i diretti “obiettivi” del Carroccio nelle fortissime critiche in queste ore post-fallimento del Governo Conte. Salvini però al momento non vuole aprire anche una crisi istituzionale oltre a quella già gravissima a livello politico, non seguendo e marcando distanza dal Movimento 5 Stelle. (agg. di Niccolò Magnani)
PASSO INDIETRO DI MAIO? “NO COMMENT”
Come già emerso nelle ultimissime ore, pare che il Movimento 5 Stelle voglia fare un passo indietro sulla richiesta di impeachment a carico del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, o quantomeno attende anche le mosse della Lega che sulla questione è apparsa più attendista. Infatti, poco dopo la diretta Facebook nel corso della quale Luigi Di Maio aveva usato toni durissimi non solo contro il Colle ma anche contro il suo staff di consiglieri, definiti “bugiardi”, in merito alla querelle-Savona, pare che ora anche il leader pentastellato attenda il da farsi dopo il polerone che le sue parole, e quelle di Giorgia Meloni, hanno suscitato. E infatti Di Maio, “braccato” dalla stampa mentre si allontanava da Montecitorio non ha voluto rilasciare altre dichiarazioni sull’argomento, trincerandosi dietro un “no comment”. Il capo politico del Movimento è infatti salito di corsa su un taxi che lo attendeva assieme a Rocco Casalino e non ha risposto alle domande di chi gli chiedeva i motivi di un attacco così forte al Quirinale dopo le parole di apprezzamento espresse nei giorni scorsi o una uscita dello stesso Di Maio nella quale aveva detto chiaramente che “sui ministri decide Mattarella”. (agg. di R. G. Flore)
MICHELE AINIS, “CONCEZIONE GIACOBINA DELLA SOVRANITA'”
Tecnicamente impossibile da perseguire, oltre che un atto di “rottura” istituzionale molto violento in un momento di crisi come quello attuale, la procedura di impeachment richiesta ieri a gran voce da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, e da diversi esponenti del Movimento 5 Stelle sta perdendo pian piano quota. A dire il vero, nelle ultime ore coloro che hanno chiesto lo stato di accusa per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, hanno abbassato i toni o quantomeno hanno spiegato che prossimamente valuteranno il da farsi: e sul fronte grillino è arrivato anche il richiamo del professor Giulio Sapelli, storico e accademico di fama che li ha richiamati, spiegando che l’impeachment è “l’ultima cosa che si poteva fare in questo momento, per di più agitando le piazze”. A detta dell’economista, infatti, sarebbe sbagliato percorrere questa strada (comunque impervia dal punto di vista tecnico) e che minerebbe la Presidenza della Repubblica, istituzione “fondamentale in questo momento”. Sulla sua stessa lunghezza d’onda anche il costituzionalista Michele Ainis: quest’ultimo ha spiegato che non ci sono “gli estremi”, sottolineando anche che la Carta prevede che i poteri devono essere condivisi. Insomma, per il giurista “c’è il rischio di scivolare in una concezione giacobina della sovranità popolare”, arrivando direttamente a una crisi di sistema. (agg. di R. G. Flore)
ART.90, MANCHEREBBERO LE GIUNTE PER L’ATTO
L’Unione Europea ha fatto sapere che la questione dell’impeachment per il Capo dello Stato è una situazione solamente interna visto che da Bruxelles non vi sono avvisi o timori di un “attacco allo stato di diritto” mosso dal Quirinale. «È una situazione interna che deve essere affrontata a livello nazionale», spiega il commissario Ue alla Giustizia, Vera Jourova, a chi le chiedeva se in Europa ci fosse preoccupazione sulla richiesta di impeachment per Mattarella. «In questo momento non è richiesta nessuna reazione in materia di rispetto dello stato di diritto dal parte dell’Unione Europea». Intanto un “piccolo” ma importante dettaglio sulla richiesta formale dello stato di accusa contro il Presidente della Repubblica è stato fatto notare dall’Ansa: «Manca il comitato parlamentare per i procedimenti di accusa, il soggetto istituzionale cui compete l’‘istruttoria’ del processo nei confronti del Capo dello Stato poi celebrato dalla Corte Costituzionale integrata da 16cittadini». Quel comitato è composto da 44 membri, di cui 21 sono componenti della Giunta per le Autorizzazioni della Camera e i 23 della Giunta per le Elezioni e le Immunità del Senato: come spiega bene l’Ansa, «Mancando il governo, e quindi non essendoci ancora una maggioranza ed una opposizione, nessuna delle due Giunte è stata ancora costituita». (agg. di Niccolò Magnani)
IL NUOVO ATTACCO DI GIORGIA MELONI
Giorgia Meloni rilancia la richiesta di impeachment per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Intervenuta nel corso de L’Aria che tira, la leader di Fratelli d’Italia ha commentato: “Mi corre l’obbligo di segnalare che ci sono fior fiore di costituzionalisti che confermano come Mattarella abbia chiaramente agito al di là delle sue prerogative. Nessuno ha messo in discussione di rispettare i patti internazionali, ma qualcuno ha parlato di rivedere quei patti. C’è scritto in Costituzione che dobbiamo subire tutto ciò che l’Europa ci dice? Nella nostra Costituzione non c’è scritto neanche che siamo vincolati all’euro, e lo dico di un governo che non ha parlato di uscire dall’euro, sono scelte che fa la politica e che fanno i governi” E sottolinea, tornando sul veto a Paolo Savona: “Assolutamente non è nelle prerogative del capo dello Stato non nominare un ministro perché non ne condivide le sue idee. Non esiste un precedente solo, neanche uno, nella storia repubblicana”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
PRECEDENTE NAPOLITANO-M5S
Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia hanno chiesto l’impeachment per Sergio Mattarella, presidente della Repubblica nel mirino per il veto “ideologico” su Paolo Savona come ministro dell’Economia. E non è una novità per i pentastellati: nel 2014 il Movimento 5 Stelle depositarono alla Camera al Senato la messa in stato d’accusa di Giorgio Napoli per attentato alla Costituzione. Diversi, rispetto a Mattarella, “i capi d’accusa”: tra gli altri, l’ingerenza compiuta nei confronti dei magistrati sul processo Stato-Mafia, il tentativo di rendere “flessibile la Corte Costituzionale” e la grazia concessa ad Alessandro Sallusti. Un impeachment che venne archiviato, bloccato al primo passaggio: decisivo il Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa. Una vicenda che fece insorgere anche Beppe Grillo: “Siamo condannati a Napolitano a vita. Deve avere la dignità di dimettersi, bisogna capire quando si è a fine corsa e fuori ruolo. Lui lo è. Sta per compiere novant’anni, è in politica dal 1945, in Parlamento dal 1953, è peggio di una condanna all’ergastolo”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
USA, IL CASO BILL CLINTON
Come vi abbiamo sottolineato, l’impeachment in Italia non si è mai verificato, con Leone e Cossiga che scelsero di dimettersi prima, ma in altri Paesi sì. Negli Stati Uniti d’America è stato infatti utilizzato a più riprese per rimuovere membri del potere giudiziario, basti pensare ai casi Timothy Pickering (1804) e William Blount (1797), ma anche componenti dell’esecutivo. Due i casi simbolo: Andrew Johnson (1898) e Bill Clinton (1999), mentre è diverso il discorso di Richard Nixon (1973) che decise di dimettersi per lo scandalo Watergate. La vicenda di Clinton ha tenuto banco mediaticamente in tutto il mondo, con il presidente americano dell’epoca per lo scandalo Lewinsky e l’aver mentito sulla sua relazione con la stagista ventiduenne durante una deposizione sotto giuramento presso il processo su Paula Jones. Clinton fu assolto dalle accuse, con i voti per la condanna che non raggiunsero i due terzi dei voti favorevoli previsti dalla Costituzione. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
A CHI SPETTA L’ULTIMA PAROLA
Sebbene non si sia mai verificata in Italia la messa in stato d’accusa prevista dall’art. 90 della Costituzione e nota come impeachment, furono in tre ad esserne investiti nel corso della storia, ovvero Leone, Cossiga ed anche Oscar Luigi Scalfaro. In tutti i casi però non vi fu mai un seguito. Ora, la minaccia incombe anche su Sergio Mattarella anche se la richiesta di impeachment da parte dei 5 Stelle al capo dello Stato al momento sarebbe stata presa con assoluta tranquillità e senza alcun commento diretto. La reazione dei partiti è stata inevitabilmente aggressiva ma è pur vero che quanto previsto dalla Costituzione è un procedimento chiaro e fondato su motivazioni altrettanto trasparenti. Nei casi previsti dall’art. 90 della Costituzione, il presidente della Repubblica è messo sotto stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei componenti. Le Camere, tuttavia, devono votare un testo in cui si mette in chiaro le ragioni per le quali Mattarella può essere imputato di attentato alla Carta (essendo escluso l’alto tradimento). 5 Stelle e Meloni, dunque, sono chiamati a fornire le ragioni costituzionali relative alle loro accuse. Se si arriva a votare quel testo, dunque, l’ultima parola spetta alla Corte Costituzionale, come previsto dagli art. 134-135. Nel caso di giudizio su Mattarella, oltre ai componenti che tradizionalmente formano la Consulta si assiste all’integrazione del collegio con 16 membri scelti a sorte da una lista di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, lista compilata dal Parlamento ogni 9 anni tramite elezione con le stesse modalità che si applicano ai giudici ordinari. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
I CASI LEONE E COSSIGA
La parola “impeachment” torna nel vocabolario della politica italiana. A parlarne apertamente, dopo Giorgia Meloni, è Luigi Di Maio. «Prima attiviamo l’articolo 90 e poi si va al voto», ha dichiarato nell’intervento telefonico a Che tempo che fa. La messa sotto accusa del presidente della Repubblica è prevista «in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione». La Carta è molto chiara in tal senso: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”. Il MoVimento 5 Stelle deve decidere se andare al voto subito o fare lo stato di accusa, perché se chiedono le urne e lo scioglimento delle Camere, è chiaro che ciò è incompatibile con l’impeachment. Non ci sono comunque precedenti: non si è mai verificata la messa in stato d’accusa, ma ne fu investito Giovanni Leone che però si dimise prima. Accadde anche a Francesco Cossiga, ma non ebbe luogo perché lasciò il Quirinale due mesi prima della scadenza del settennato. Non ci fu seguito concreto con Oscar Luigi Scalfaro. (agg. di Silvana Palazzo)
STATO DI ACCUSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Giorgia Meloni e il MoVimento 5 Stelle agitano lo spettro dell’impeachment contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Questa eventualità è stata lanciata in primis dalla leader di Fratelli d’Italia in un video pubblicato su Facebook. «Nel caso in cui questo veto impedisca la formazione del nuovo Governo chiederà al Parlamento la messa in stato d’accusa del Presidente per alto tradimento», ha dichiarato Meloni. L’Ansa ha riferito che il M5S è pronto a tirare in ballo l’art. 90 della Costituzione secondo cui «il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri». Al momento sono tre le forze politiche che cercano lo scontro aperto con le istituzioni, perché ovviamente contro il Quirinale si è schierata anche la Lega. Come funziona l’impeachment? Innanzitutto dobbiamo parlare di stato di accusa.
COS’È E COME FUNZIONA
Si parla di «impeachment», ma la Costituzione italiana codifica la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. E la decisione finale non spetta al Parlamento, ma alla Corte Costituzionale. I passaggi che una procedura così delicata prevede sono tanti e complessi, non a caso non si è mai arrivati alla fine di questo percorso. Innanzitutto la richiesta va presentata al presidente della Camera con tutto il materiale probatorio a sostegno dell’accusa. Il presidente della Camera trasmette poi il dossier ad un comitato apposito, costituito dai componenti della giunta del Senato e della Camera, i cui membri devono rappresentare tutte le forze politiche. Il comitato ha il compito di decidere sulla legittimità dell’accusa, e dopo aver preso una decisione, votata a maggioranza, presenta una relazione al Parlamento riunito in seduta comune. Il comitato può scegliere di archiviare il caso se ritiene che le accuse sono diverse da quelle stabilite dell’art. 90 della Costituzione, o deliberare la votazione in aula della messa in stato d’accusa. In entrambi i casi il presidente della Camera riunisce di nuovo il Parlamento, che poi deve esprimersi sull’autorizzazione a procedere. Il Parlamento può chiedere ulteriori indagini o mettere in discussione la competenza parlamentare dei reati imputati. Il Parlamento vota quindi sulle eventuali proposte. Se sono respinte, si prende atto delle decisioni del comitato. Se delibera di archiviare il caso, la decisione viene approvata senza il passaggio del voto. Se la relazione propone la messa in stato d’accusa, si vota a scrutinio segreto. Per procedere però la proposta di destituzione deve raggiungere la maggioranza assoluta dell’assemblea. Ma non è finita qui: se il Parlamento dà l’autorizzazione a procedere, il caso passa alla Corte Costituzionale, a cui vengono affiancati sedici giudici aggregati, estratti a sorte da un elenco di quarantacinque persone compilato dal Parlamento ogni nove anno e i cui requisiti di accesso sono gli stessi dei giudici della Corte. Nella stessa seduta il Parlamento elegge i rappresentanti dell’accusa che fanno da pm durante le sedute della Corte, che decide attraverso un vero e proprio processo al cui termine arriva una sentenza.