La situazione è grave e, purtroppo, anche molto seria. Niente è mai perduto definitivamente in politica, ma, ugualmente, niente resta senza conseguenze.

Così la funesta (da altri definita drammatica) giornata di domenica di conseguenze sembra destinata ad averne molte a livello politico, personale ed istituzionale.

In una democrazia matura l’orgoglio istituzionale non è ammesso. Mai! Le istituzioni tutte, a cominciare dal Colle più alto e quindi più saggio, hanno il compito di governare le situazioni, indirizzandole, sorreggendole e, persino, contrastandole ma sempre salvaguardando il ruolo e preservando la funzione: patrimonio dell’Italia repubblicana.



Quando ciò non accade, il caos rischia di essere legittimato oltre che assicurato.

Come noto, la politica gioca sempre sul filo di lana dell’esasperazione nei toni, nei concetti e nelle trattative. L’esatto contrario di ciò che è concesso costituzionalmente a chi giuda un’istituzione prestigiosa.

Chi ha ruolo e responsabilità deve conoscere il limite e, se del caso, muoversi per tempo impedendo ogni deflagrazione, ogni scontro ed ogni duello. Non c’entra la legittimità (e forse anche l’opportunità) della decisione. C’entra la funzione, lo stesso senso delle istituzioni. C’entra il modo, che in politica è sostanza.



Il Capo dello Stato non è mai giocatore! E tantomeno lo avrebbe dovuto diventare in una situazione di impasse profonda come quella che sta vivendo l’Italia del dopo voto. Prudenza avrebbe voluto un colloquio franco ed esplicito tra il presidente e il suo interlocutore istituzionale: ovvero, il presidente incaricato Conte. Non altri! Era il professor Conte deputato a trovare la quadra. A tessere le trame per una squadra di governo forte, credibile ed in sintonia con l’incarico ricevuto. A lui spettava dirimere il “caso Savona”. Non ad altri!

Invece, con le inopportune quanto reiterate convocazioni dei leader politici (l’ultima “segreta” nel pomeriggio di domenica 27 maggio) e con la dichiarazione alla Vetrata, il Quirinale è stato trascinato (sicuramente per passione) in una disputa politica da cui la Costituzione lo preserva.



Ecco il passo falso, ai più, inspiegabile.

Se vi erano delle perplessità, coerentemente al dettato costituzionale, l’incarico non doveva essere dato. Ma una volta conferito, si doveva lasciare campo libero alla trattativa politica, mantenendo l’interlocuzione esclusivamente con il presidente incaricato senza indugiare in espliciti quanto inopportuni e, persino, pubblicizzati “bracci di ferro”.

I precedenti narrano di “arcigni” quanto “agitati” scambi di vedute tra il dante causa e l’interlocutore appropriato, risolti istituzionalmente senza imbarazzanti strascichi né “ufficiali” dichiarazioni rese a pro’ di telecamera.

Ogni “buon padre di famiglia”, dopo aver impartito delle puntuali raccomandazioni — per rispetto dell’intera famiglia — non scende al livello dello scontro con il figlio. Semplicemente perché padre e figlio, pari non sono!

Ecco la magagna di una vicenda alquanto amara da cui, umilmente, imparare e ripartire per disinnescare un malessere popolare ai limiti di guardia che rischia di irrompere e rovinare l’imminente festa della nostra cara Repubblica.