Martina rientra nei ranghi: scusateci, abbiamo scherzato. Nella direzione di ieri, il segretario reggente ha ottenuto il prolungamento del mandato fino alla prossima Assemblea (la data non c’è), in cambio dell’approvazione all’unanimità della sua relazione politica, totalmente allineata al dettato di Renzi: niente apertura a M5s, ma nemmeno al centrodestra. Irrilevanti i distinguo di Franceschini, Cuperlo, Orlando, Boccia. Nelle stesse ore Mattarella ha annunciato nuove consultazioni, previste per lunedì. Ora si va dritti verso l’ineluttabile soluzione istituzionale. E se Salvini e Di Maio non intendessero votare il “governo del presidente”? Anche questa eventualità troverebbe posto nello schema del Colle, spiega Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2.



La direzione del Pd è la pietra tombale su qualsiasi possibile maggioranza politica.

Di fatto è così. Il Pd ha consegnato il pallino della crisi nelle mani di Mattarella. Andiamo dritti verso una soluzione istituzionale.

Perché il Capo dello Stato ha comunicato che farà un terzo giro di consultazioni prima che iniziasse la direzione del Pd? 



Per spostare l’attenzione della direzione proprio su questo: per risolvere la crisi rimaneva un’ultima possibilità da scandagliare, quella di una maggioranza centrodestra-Pd.

Il Pd ha detto che non ci sta. 

Ma occorreva una dichiarazione formale, come quella che ora impegna il reggente Martina a nome di tutto il Pd. Poiché da giorni si favoleggiava sui giornali di un possibile appoggio esterno a un governo Giorgetti, uno schema mai dichiarato ufficialmente a Mattarella nelle consultazioni precedenti, il presidente aveva bisogno che questa ipotesi venissi esplicitata.

Esplicitata e bocciata.



Sì, con tutte le sue possibili subordinate, compresa quella di una pattuglia di responsabili, magari di marca renziana, che si smarcano dal corpo del Pd per sostenere un tale governo. 

E il retroscena degli sms tra Renzi e Salvini?

Possono anche esserci stati, ma non ne vediamo il risultato politico.

Che cosa potremmo aspettarci da queste terze e ultime consultazioni?

Salvini potrebbe chiedere quel preincarico che probabilmente Mattarella gli aveva già offerto e che il capo della Lega ha rifiutato per timore di bruciarsi.

Perché lo avrebbe rifiutato prima e dovrebbe chiederlo adesso?

Adesso la sabbia nella clessidra è finita. Ora tocca al presidente della Repubblica: davanti alla sua proposta, che si chiami governo di tregua o del presidente, tutti dovranno dire se lo appoggiano o no.

E Salvini?

Per evitare uno sgarbo istituzionale, e per scongiurare in extremis uno scenario che nella Lega ma anche in M5s sarebbe difficile da digerire, Salvini potrebbe fare un passo avanti e chiedere l’incarico, per poter dire davanti al paese di averci provato fino alla fine. Il problema è che un preincarico al buio, cioè senza numeri certi, è uno scenario che Mattarella non è stato finora disposto ad avallare.

Potrebbe aver cambiato idea?

Tendo a dubitarne. Nel 2013 venne dato un preincarico a Bersani che aveva la maggioranza almeno in una delle due camere, mentre adesso mancano i voti in entrambe, una cinquantina alla Camera e una trentina al Senato. E non si vedono nuovi “responsabili” all’orizzonte.

E se il centrodestra arrivasse con una lista di deputati e senatori disponibili a sostenere il governo?

In tal caso Mattarella potrebbe ripensarci. Di sicuro è contrario all’ipotesi di dar vita a un governo che vada a cercarsi i voti in Parlamento.

Non c’è nemmeno una via di mezzo? 

In realtà sì, ed è quella di un preincarico che potrebbe servire ad estendere il pacchetto di voti necessari, se ce ne fosse già una parte consistente. Se a Mattarella venissero fatti vedere 30 nomi e ne servissero altri 20, il preincarico potrebbe essere anche concesso. Ma diventerebbe incarico pieno soltanto se comparissero, prima della lista dei ministri, nero su bianco i nomi e dunque i voti mancanti.

Cosa potrebbe dire stavolta Di Maio a Mattarella, visto che ad M5s è stato concesso di esplorare le ipotesi che voleva?

Non saprei. Però posso immaginarmi quello che potrebbe dire Mattarella a Di Maio: se M5s non è disponibile a nulla e si ostina a chiedere il voto, che senso ha tornare a votare nelle stesse condizioni, con la stessa legge elettorale? Non ha più senso assumersi la responsabilità di sostenere un governo che arriva a fine anno facendo la legge di bilancio ed evitando l’aumento dell’Iva? 

Nell’agenda del governo del presidente ci sarebbe anche la legge elettorale?

Il Quirinale lo considera una tema talmente divisivo che preferisce lasciarlo in secondo piano. Se ne potrebbe parlare solo dopo il varo del nuovo governo.

Se Salvini e Di Maio non ne volessero sapere di votarlo?

Il governo potrebbe nascere anche sulla base di una serie di astensioni incrociate: pochi voti a favore e molti voti di astensione. Avrebbe il significato di un’apertura di credito, con in più la possibilità per Di Maio e Salvini di staccare la spina quando vogliono. Un’eventualità che Mattarella mette in conto, anzi gliene darebbe la possibilità.

(Federico Ferraù)