Segnatevi la data del 7 luglio, e non prendete impegni. Potrebbe essere quella l’arma finale di Sergio Mattarella nel confronti dei partiti riottosi a ogni accordo. Voto sotto il solleone, spiegato dal Capo dello Stato con un messaggio al paese: o così, oppure due punti di Iva in più. I conti del Colle sono senza scampo, e dimostrano che tornando alle urne dopo l’estate, anche a fine settembre non ci sarebbero i tempi per fare la legge di bilancio, l’unica in grado di scongiurare quell’aumento automatico delle imposte indirette che è stato rinviato di anno in anno dal 2011.



Mattarella avrebbe gioco facile a rintuzzare le accuse di alimentare l’astensionismo chiamando alle urne gli elettori in piena estate, sulla base proprio dell’interesse dei cittadini italiani. Una situazione paradossale di cui sarebbero i partiti a portare per intero la responsabilità. 

Il terzo giro di consultazioni al Quirinale sarà anche l’ultimo. A due mesi abbondanti dal voto la sabbia nella clessidra si è esaurita. Mattarella sarebbe il più felice se i partiti gli evitassero di doversi giocare tutta la sua credibilità nel proporre un governo di tregua che sembra destinato inesorabilmente a sfracellarsi in parlamento. Se in extremis arrivasse una soluzione politica sarebbe pronto a sottoscriverla, dando l’incarico al prescelto dai partiti, a patto che gli dimostrino che i numeri ci sono.



L’apertura di Di Maio, che per la prima volta si è detto disponibile a rinunciare ad andare a Palazzo Chigi, ha preso il Quirinale in contropiede, anche perché troppe volte nel corso di questa crisi erano arrivate al Capo dello Stato voci di accordi a portata di mano. Voci poi puntualmente smentite dai fatti. Anzi, da un fatto: l’ostinazione di Berlusconi a non volersi fare da parte, coincidente con il diniego di Salvini a rompere il centrodestra. 

Di Maio è stato abile nel passare il cerino della crisi nelle mani di Salvini nel momento in cui il legnetto è ormai consumato e il rischio di scottarsi altissimo. Per il centrodestra è il momento più delicato almeno dalla caduta del governo Berlusconi nel 2011, se non dal ribaltone di Bossi nel 1994. I tre leader arriveranno nello studio alla Vetrata dopo una notte lunghissima di trattative e ogni finale di partita è possibile. Un punto sembra però chiaro: se Salvini accetterà di rimanere ancorato a Berlusconi e Meloni, la contropartita sarà la richiesta di un no altrettanto granitico del centrodestra al “governo di tregua” che rimane l’ultima carta di Mattarella. Un no che a Berlusconi pesa molto, ma che alla fine non potrà che subire. Non si dimentichi che Salvini non può permettersi di lasciare a Di Maio l’esclusiva dell’opposizione al governo “del presidente”.



Senza i voti della coalizione moderata, rimane solo il Pd disposto a sostenere lo sforzo del Quirinale, che ci sarà comunque, un attimo dopo che anche l’ultima chance di dar vita a un esecutivo politico sarà tramontata. Martedì o mercoledì al massimo il Capo dello Stato proporrà al parlamento il “suo” esecutivo di tregua, anche se le probabilità di successo dovessero essere pari a zero. Del resto, Gentiloni non può rimanere a Palazzo Chigi ancora a lungo. 

Senza fiducia, però, la crisi si avviterebbe in picchiata verso il voto. E qui la matematica elettorale è chiara: per votare subito dopo l’estate, prima data utile il 23 settembre, bisognerebbe trovare il modo di far lavorare le Camere sino al 15 luglio, giorno più, giorno meno. E con un governo bocciato sarebbe davvero faticoso. In ogni caso, la nuova legislatura si avvierebbe intorno a metà ottobre, già fuori tempo massimo per scrivere ex novo una legge di bilancio, al netto delle difficoltà per dar vita a un nuovo governo, che potrebbero essere simili a quelle di oggi, a legge elettorale invariata.  

Potrebbe essere lo stesso Mattarella a andare in tv per spiegare agli italiani che a quel punto il male minore sarebbe il voto in piena estate. Ma il presidente sino all’ultimo spererà in un accordo fra i partiti che gli eviti le decisioni più dolorose.