Come ci si aspettava, Sergio Mattarella ha posto tutte le carte sul tavolo con esemplare chiarezza ed equilibrio per mettere i partiti con le spalle al muro. Sta per nascere il primo governo “neutrale” o “di servizio” della storia della repubblica, un esecutivo senza precedenti e probabilmente senza uguali nel futuro, perché premier e ministri si impegneranno a dimettersi al massimo entro 7-8 mesi e a non candidarsi alle elezioni che seguiranno immediatamente dopo. Chiedere a un ministro disinteresse puro appare contro natura. Sarà un governo di cirenei, di similtecnici che si caricheranno sulle spalle i fardelli che altri non hanno saputo (o voluto) prendere su di sé.



Non sono poche le concessioni che il capo dello Stato ha fatto ai partiti che persistono nell’incapacità di trovare un accordo: gli ha trovato una squadra di “sbrigafaccende” che si sobbarcheranno l’onere di varare una legge di stabilità per evitare che l’Iva balzi dal 22 al 25 per cento, di negoziare con l’Europa una diversa gestione dell’immigrazione, addirittura di prendere altro tempo perché i partiti stessi possano trovare un accordo strada facendo. La condizione della non ricandidatura e della scadenza certa è una garanzia supplementare offerta a Salvini e Di Maio per sgombrare il campo dalle ipotesi — e dalle accuse che già cominciano a piovere — d’un Monti bis. Ora si attende il nome del Cireneo premier: se sarà un economista, l’accento sarà posto sui temi economici; se invece fosse un giurista, magari estratto dalla Corte costituzionale, potrebbe spingersi con una certa autorevolezza a mettere mano alla riforma del sistema elettorale.



Mattarella punta sulla responsabilità dei leader politici anche se finora le sue speranze sono state deluse: i partiti sono esattamente al punto di partenza, imprigionati nei veti reciproci, e non si vede perché debbano cambiare atteggiamento proprio ora. Il presidente incarna lo spirito dei costituenti che nelle radicali differenze ideologiche e sociali hanno cercato e trovato punti di intesa. I partiti oggi sembrano invece preoccupati soltanto di passare all’incasso. In particolare Salvini. 

Il segretario leghista preme per andare subito alle urne, cioè a fine luglio, nel pieno delle vacanze, convinto di riuscire a fare un sol boccone di Forza Italia. È probabile che lo farà, ma non è detto che questo porterà ad aumentare i voti della coalizione: tutto potrebbe risolversi con una ridistribuzione di consensi all’interno del centrodestra. Il risultato sarà mano libera per la Lega verso un governo populista con i 5 Stelle. 



Il colmo della beffa è che Salvini vuole costringere il Cavaliere a impiccarsi con le sue stesse mani. Lo si evince dalle dichiarazioni rilasciate subito dopo l’intervento di Mattarella, quando il leader leghista ha chiesto a Berlusconi di stare alla parola data come lui, Salvini, lo è stato finora. Evidentemente il prezzo pagato dall’ex premier per mantenere unita la coalizione ed evitare lo strappo salviniano verso il M5s è il sostegno a elezioni subito, che per Berlusconi potrebbero davvero tramutarsi in un baratro.

Il Quirinale non dispera che gruppi di parlamentari di incerta conferma possano coagularsi attorno ai cirenei. Ormai si naviga tutti a vista. Perlomeno la fase pre-elettorale non sarà gestita da Gentiloni, Salvini o Di Maio a Palazzo Chigi. Chissà se il governo “del disinteresse” avrà qualcosa di nuovo da mostrare al Paese, se i “non politici” avranno qualcosa da insegnare alla politica.