Ha ottenuto ciò che voleva: un governo politico e la garanzia di un esecutivo meno problematico verso l’Unione Europea. Sergio Mattarella può tirare, per ora, un sospiro di sollievo. L’annuncio è arrivato alle 19.21, dopo 88 giorni di trattativa: “E’ stato raggiunto l’accordo per un governo politico M5s-Lega con Giuseppe Conte presidente del Consiglio”, hanno detto Salvini e Di Maio al termine di un incontro durato quattro ore. Certo, molti nodi restano aperti: l’identità di un esecutivo riproposto a distanza di pochi giorni con importanti pedine cambiate; la presenza di molti, troppi tecnici in un governo obbligato a definirsi politico, dopo l’intervento risolutivo del Quirinale, e che proprio per questo si tratterà si capire in che misura politico lo sarà davvero, il governo “Conte bis”, nel programma e nella libertà di manovra. Abbiamo chiesto a Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2, un bilancio di questa lunga, estenuante partita.



Come si è arrivati alla soluzione?

Attraverso un ripensamento dei partiti. A propiziarlo, l’insistenza del presidente della Repubblica, la determinazione con cui Mattarella ha fatto capire che avrebbe perseguito il suo disegno di dare un governo al paese.

Qual è stata la strategia di Mattarella?

Ha giocato a carte scoperte. Quello che ha detto, stava facendo. La prova migliore la si è avuta nelle parole di Cottarelli quando è uscito di scena: un governo politico è sempre la migliore soluzione. Questo voleva il Capo dello Stato, e lo ha ottenuto. 



Il punto più basso della crisi?

Lunedì, quando nel gelo di M5s e Lega è partito il tentativo di Cottarelli e Di Maio non aveva ancora innestato la retromarcia sull’impeachment. Lì il Quirinale ha rischiato di rimanere isolato.

Poi però tutto si è sbloccato e si è arrivati al ripensamento. Cosa può dirci in proposito?

I canali non si sono mai interrotti, la retromarcia di Di Maio è stata preceduta dalla moral suasion del Quirinale. Quando il leader dei 5 Stelle ha fatto l’affondo sull’impeachment, Mattarella non ha reagito. Se ci fosse stata una reazione veemente del capo dello Stato, il dialogo si sarebbe interrotto. 



Salvini non ha seguito Di Maio sull’impeachment.

Anche questo è stato importante. Se entrambi i leader si fossero associati nel proposito, non ci sarebbe stato margine. 

Perché Salvini ha accettato di tornare al tavolo?

Perché, al pari di Di Maio, ha capito che una occasione così non si sarebbe ripresentata. 

Le urne a luglio?

Determinanti. Erano davvero dietro l’angolo, su questo Mattarella non ha offerto sconti. Se nessuno avesse appoggiato Cottarelli, avrebbe mandato il paese al voto in piena estate, entro il termine dei 70 giorni previsti. A quel punto la singolarità, per usare un eufemismo, del voto a fine luglio è parsa chiara a tutti, ai partiti ma anche agli elettori. 

E l’attacco dei mercati?

Anche questo ha lavorato per la moral suasion del Quirinale. Non solo. I maggiori esponenti dei ceti produttivi che fanno riferimento a Lega ed M5s hanno fatto pressione per indurre i partiti a non perdere tempo e ad assumersi l’onere del governo. 

Che ruolo hanno avuto la Bce e le pressioni europee?

Sono rimaste solo sullo sfondo. Se lo spread fosse salito oltre una certa soglia, la Bce sarebbe stata impossibilitata ad aiutare l’Italia. 

Come è cambiata la squadra di governo, da quella che non ha visto la luce domenica a quella di oggi?

A parte il ministro dell’Economia, non è cambiata molto in termini di nomi, ma di prospettiva sì. Visto dal Quirinale, con lo spostamento di Savona dall’Economia agli Affari europei e con Moavero agli Esteri si è raggiunto un buon equilibrio tra la necessità italiana di contare di più e i vincoli europei.

Sul serio questo basta a Mattarella?

Il presidente della Repubblica ha fatto sapere che se necessario userà tutte le sue prerogative, per esempio fermando eventuali leggi senza copertura finanziaria. Messa al sicuro la questione dell’Europa, il resto si può costruire, questa è la convinzione di Mattarella. 

Com’è secondo lei la posizione di Giuseppe Conte? Forte o debole?

Parte debole, anche a causa di due vice politicamente molto forti. Toccherà a lui dimostrare di non essere debole, dando prova di essere un buon mediatore e conquistando un suo margine di autonomia. 

Tiriamo le somme. Chi ha vinto e chi ha perso in questa partita?

L’Europa parte svantaggiata: si troverà al tavolo un governo che cercherà di essere più vigoroso nel difendere le sue ragioni. Lega e M5s si sono aggiudicati una grande occasione. Mattarella, alla fine di un percorso complicatissimo, ha portato a casa la riaffermazione delle prerogative presidenziali e difeso l’istituzione.

Veniamo alle criticità. Quanto dura questo governo?

Dipende dai primi mesi. Il primo ostacolo, decisivo, è la legge di bilancio. Scollinata la manovra, la macchina si può considerare avviata. 

Salvini?

Deve interrompere una campagna elettorale permanente e mettersi alla prova come uomo di governo. Dalla sua ha un ceto politico qualificato, oltre metà del gruppo parlamentare leghista ha esperienze amministrative locali. L’incognita maggiore è il rapporto con Berlusconi. Il centrodestra si trova oggi con una forza al governa, una che si astiene e l’altra che vota contro.

Di Maio?

Ha cambiato molte posizioni velocemente, è un raro caso di politico che chiede scusa per un errore e questo è stato apprezzato, anche se il suo ultimo incontro con Mattarella è stato descritto come “civile”, non come “cordiale”. Ora deve dimostrare una direzione di marcia chiara. In più c’è da vedere come funzionerà l’accorpamento del doppio ministero che fa capo a lui. Su determinate questioni, come le vertenze aziendali, le direttrici dello sviluppo economico e del lavoro non sempre coincidono. 

Ci sono assi potenziali e dunque possibili faglie nella squadra governo?

Uno c’è e sarà da sorvegliare attentamente. I ministri della Lega, tranne Giulia Bongiorno, sono tutti del Nord, mentre dall’altra parte, in M5s, c’è una folta rappresentanza del Sud. Sono rapporti di forza divergenti che dovranno trovare al più presto un equilibrio.