Tremate, tremate i sindaci son tornati. Sono quelli degli anni 90 e governeranno di nuovo le loro città. Ma non basta. Una valanga di riconferme per piccoli e medi primi cittadini mentre cadono le grandi roccaforti. Enzo Bianco (centrosinistra) cede Catania a Salvo Pogliese (centrodestra) senza neanche l’onore delle armi, la roccaforte eterna del centro destra, Trapani, si consegna al candidato di sinistra Tranchida tributandogli il 70% dei consensi. E dove si va al ballottaggio sono tutte storie inedite tranne che a Siracusa dove si profila un ballottaggio per così dire tradizionale perché a sfidarsi il 24 giugno saranno il candidato del centrodestra, Ezechia Paolo Reale, e quello del centrosinistra (ma in incognito e senza simbolo Pd) Francesco Italia. A Ragusa dove il sindaco pentastellato Federico Piccitto viene mollato dai suoi, i 5 stelle tengono solo in parte e dovranno fare altre due settimane di campagna elettorale per il loro candidato Antonio Tringali che deve vedersela al ballottaggio con Peppe Cassì del centrodestra. A Messina finisce l’era del sindaco ‘No ponte’ Renato Accorinti catapultato sulla poltrona di primo cittadino da un voto di protesta nel 2013. Fra due settimane se la vedranno due ‘civici’ di ispirazione entrambi di centrodestra anche se in effetti si tratta di ‘cani sciolti’ poco inquadrabili dentro uno schema come Dino Bramanti e Cateno de Luca.



Ma è nelle medie città siciliane, le 14 realtà sopra i 15mila abitanti ma non certo capoluoghi di provincia (Modica ne è un esempio) dove i siciliani riconfermano i sindaci uscenti o votano personaggi noti che spesso hanno già avuto un ruolo importante in città o in regione. Anche qui non mancano i ballottaggi ma sono quasi sempre di tipo tradizionale centrodestra contro centrosinistra quasi sempre vestito da lista civica. Infine, ultimi dato, tornano alla ribalta i sindaci del passato con una sorta di ritorno agli anni 90.



Succede nel Palermitano dove Pietro Puccio torna sindaco di Capaci come negli anni 90 prima della sua avventura da Presidente della Provincia ma succede un po’ in giro per tutta la Sicilia. Pippo Gianni, ex assessore regionale, torna a fare il sindaco di Priolo Gargallo anche lui come negli anni 90. Nel Messinese sono addirittura due i grandi ritorni: a Sant’Agata di Militello e a Taormina con, rispettivamente, il Senatore Mancuso e Mario Bolognari. Una tendenza che era stata inaugurata da Leoluca Orlando a Palermo nel 2012 e proseguita con la rielezione di Enzo Bianco a Catania che prosegue con la sola eccezione proprio di Bianco.



Alla fine di questa tornata elettorale l’ondata 5 stelle che ha spazzato via tutti a marzo sembra scomparsa dopo soli tre mesi in Sicilia anche se i penta stellati sottolineano che ogni elezione è una storia a se e che le amministrative vanno paragonate con le amministrative e non con le politiche. In effetti se il paragone lo si fa con le amministrative 2013 i 5 stelle crescono un po’ in tutta la Sicilia anche se l’unica vera novità è la conquista del sindaco dell’Isola di Pantelleria. In termini numerici aumentano i comuni dove sono presenti e quelli in cui già c’erano mostrano una crescita dei consiglieri. Come a Trapani dove il Movimento diventa il primo partito in Consiglio comunale anche se non elegge il sindaco. Qui i 5 stelle sembrano ormai diventati un partito come gli altri: consolidato e pronto ai giochi di potere elettorale. Votano massicci la propria lista ma fanno il voto disgiunto sul  candidato sindaco e contribuiscono ad eleggere Tranchida che non aveva certo bisogno di ulteriori voti.

L’analisi è presto fatta ma può risultare sorprendente. Il dato che si conferma è quello di una Sicilia che ha un modo di votare chiaro e che si ripete, Quando i tempi sono ‘tristi’, pieni di incertezze sul lavoro, sull’economia, sui servizi sociali, sullo sviluppo delle nostre città, i siciliani votano ciò che già conoscono. C’è un detto nell’isola che recita ‘megghiu u tintu canusciuto ca un buonu a canusciri’ che significa più o meno “meglio ciò che non ti piace fino in fondo ma che già conosci rispetto a ciò che si dice essere buono ma è  ancora da verificare”. Insomma meglio un sindaco che forse non ha fatto tutto bene ma del quale conosciamo pregi e difetti piuttosto che qualcuno che non abbiamo idea di come si comporterà anche se sulla carta si dice essere bravo e buono.

Tempi di crisi, il già noto tranquillizza. Ma allora perché a marzo l’ondata di novità ha travolto tutto e tutti?  Il segreto sta nel tipo di elezione. Il governo nazionale è sì una cosa importante ed incide sulle nostre vite, pensano i siciliani, ma lo fa con i grandi sistemi: le pensioni, il reddito di cittadinanza, l’accoglienza o i respingimenti dei migranti. Ma sono cose che pur essendo importanti non sono ‘vicine’. Il governo è visto come qualcosa di lontano, di ‘romano’, e non di casa nostra. Un modo di pensare atavico del siciliano medio che si porta dietro fin dalla notte dei tempi.

I sindaci, invece, no. Sono roba di casa nostra, Sono coloro con i quali ci confrontiamo ogni giorno. Il sindaco è colui dal quale andrò a protestare se sotto casa mia se accadrà qualcosa che proprio non mi va. Il sindaco è quello che deve occuparsi delle mie strade, dei miei centri per anziani, per ragazzi, delle scuole dove porterò mio figlio e così via. Insomma per il siciliano è vero fino in fondo che il sindaco è il front office della politica e quello lo devo conoscere, devo sapere chi è, devo riconoscerlo se lo incontro per strada. Cosa che non succede con il candidato 5 stelle che ho votato il 4 marzo spesso senza nemmeno curarmi del suo nome.

Ed ecco che il vento di cambiamento si riduce, si contrae. Ecco che in Sicilia tornano i sindaci di centrodestra, ma anche quelli di centrosinistra. Ecco che vincono tante liste civiche. Ecco che tornano i sindaci degli anni 90, le personalità storiche. 

Dunque il vento del cambiamento non è già finito, i siciliani non hanno punito i 5 stelle per l’alleanza con Salvini (anche se la Lega compatta con il centro destra comunque vince ovunque dimostrando, come sempre, che se unito il centrodestra resta difficile da battere anche dai 5 stelle), i siciliani hanno solo votato una elezioni diversa, decisamente più locale. I conti con quel che fa il governo a Roma li si faranno più avanti. Hanno invece dato ancora fiducia all’asse che ha dato vita al governo regionale, anche quello più vicino rispetto al governo centrale. Insomma le politiche sono una cosa diversa da qualsiasi altra elezione locale. Ecco che i siciliani raccolgono le forze per prendere le distanze da tutto e da tutti: ‘questa è casa mia e qui voglio qualcuno che ben so cosa farà’. Anche se, poi, non è detto che sia così come Orlando a Palermo e Bianco a Catania hanno dimostrato. Anche se Orlando è riuscito a farsi rieleggere e Bianco no.