Di per sé l’idea non fa una grinza: la modifica costituzionale dell’articolo 81 avvenuta nel 2012 ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione? Benissimo, basterà rimodificare l’articolo 81 per avere più margine di manovra, indispensabile come l’aria se si vogliono fare riforme non proprio a costo zero come la flat tax e il reddito di cittadinanza. Con questo obiettivo — fare più debito — la deputata Tiziana Ciprini ha depositato il 17 aprile scorso una proposta di legge costituzionale per cambiare gli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione. Il testo, per fortuna di M5s e Lega, non è disponibile, altrimenti avrebbe già attirato gli strali della Commissione europea e di Monti, autore del blitz che tra la fine del 2011 e l’aprile del 2012 portò alla modifica dell’articolo 81 da parte di un parlamento debole e incerto, ancora frastornato dal benservito rifilato da Napolitano a Berlusconi. E così, per prudenza, M5s deve aver nascosto il testo in un cassetto della Casaleggio e associati (dandone magari una copia a Giancarlo Giorgetti), per rifletterci su, limare le virgole e prepararsi a un percorso irto di ostacoli. Che in realtà sono assai più problematici di quanto pensino nella maggioranza, spiega il costituzionalista Alessandro Mangia.
Una circospezione giustificata, professore?
Direi proprio di sì. E’ innanzitutto il procedimento ad essere rischioso. In soli 5 mesi, tra fine novembre 2011 e marzo 2012, una maggioranza dei due terzi del parlamento è riuscita a modificare tre articoli della Costituzione, l’81, il 97 e il 119. Il tutto è avvenuto in un raro momento di “convergenza” politica, indotta dalle lettere della Bce, dalla moral suasion di Napolitano e dall’arrivo della troika nella persona del professor Monti. Senza una maggioranza così ampia, la modifica dovrebbe avvenire a maggioranza assoluta, ma questo porterebbe con sé tutti i rischi, che dovremmo conoscere, di una campagna referendaria destinata a durare mesi.
Cosa accadrebbe in questa ipotesi?
La possibilità di fare deficit per attuare il programma di governo equivarrebbe ad una battaglia contro le regole europee. E, se non si raggiungesse la maggioranza qualificata e si andasse a referendum, quello sull’articolo 81 diventerebbe, di fatto, un referendum sull’euro. Con tutte le conseguenze che abbiamo sperimentato nei due giorni del quasi-governo Cottarelli. Non so se il Paese reggerebbe una situazione del genere.
Secondo lei una proposta di modifica come quella di M5s è stata pensata a questo scopo?
Questo proprio non glielo so dire. Ma se l’obiettivo è quello di provocare un altro referendum costituzionale, direi che la lezione di Renzi non è servita a molto.
L’articolo 81 non parla di “pareggio” ma di “equilibrio” di bilancio: cosa significa?
Significa che in realtà l’articolo 81 non è così rigido come si dice, e consente degli scostamenti, condizionati al verificarsi di eventi eccezionali o in presenza di fasi avverse del ciclo economico. Una formula oscura, con la quale in pratica si dice che se in fase di recessione si vogliono fare politiche anticicliche, ossia spendere di più, cosa che hanno fatto tutti i governi europei dal 2011 in poi, in astratto lo si può fare, anche senza modificare l’articolo 81. Non è una norma così draconiana come viene presentata nel discorso giornalistico. E la sua applicazione è assoggettata ad una serie di controlli, interni ed europei, che possono essere più o meno stringenti.
Allora perché si legge l’articolo 81 in termini così assoluti?
Perché l’articolo non è nient’altro che la formalizzazione, a livello di ordinamento italiano, di una serie di vincoli che erano stati precedentemente fatti propri dal governo Monti. Viene letto, cioè, nel contesto della situazione politica europea, così come si è assestata dopo il novembre 2011. E i controlli sul rispetto di quei vincoli in questo momento sono piuttosto stringenti.
Parliamo del Fiscal compact, o Patto di bilancio europeo, firmato dall’Italia il 2 marzo 2012.
Proprio quello. Esso prevedeva che gli stati nazionali adottassero misure legislative interne, anche costituzionali, per assicurare l’adempimento agli obblighi derivanti da quel trattato. E in questo abbiamo battuto tutti sul tempo: paradossalmente, ancor prima che il Fiscal compact fosse ratificato dal Parlamento italiano ed entrasse in vigore (1° gennaio 2013, ndr), avevamo già modificato la Costituzione! Sono gli effetti della politica debole e i miracoli del “pilota automatico”.
Dicevamo che la formula dell’articolo 81 consente tecnicamente più margini di quanto non si creda.
E però, al tempo stesso, non può non essere letta alla luce dei vincoli di bilancio assunti in sede europea. Se non ci fossero quei vincoli di bilancio esterni, l’81 potrebbe essere utilizzato con molta più elasticità, come accadeva prima della modifica costituzionale con il testo originario.
Ciò significa che non basta cambiare l’81, se restano fermi quei vincoli di bilancio europei.
No, non basta. Da un lato l’articolo 81 è in diretta connessione con il sistema dei vincoli di bilancio esterni, dall’altro lato è legato alla legislazione di attuazione, che disciplina il processo di bilancio e che prevede, in conformità agli accordi europei, che il governo, quando fa il bilancio, debba continuamente confrontarsi con la Commissione. Quindi l’81 di per sé è solo uno dei tre pezzi del puzzle. Gli altri due sono Fiscal compact e legislazione di attuazione.
E’ possibile smontarlo?
Sì, ma bisogna farlo con molta cautela e avendo piena consapevolezza della molteplicità di piani che sono toccati da un’eventuale modifica.
Cambiamo l’angolatura: M5s e Lega dovranno farlo?
Dovranno trovare una strada e percorrerla gradualmente, se si vogliono davvero attuare le politiche previste dal nuovo governo. Ma in tal caso le difficoltà non vengono solo dall’articolo 81. Ipotizziamo che un bel giorno si vogliano fare davvero la flat tax o il redito di cittadinanza, e si vada a sfondare il limite del 3 per cento, anche se in realtà il Fiscal compact ci consentirebbe di spendere molto meno, essendo noi indebitati sopra il 60 per cento. Cosa succederebbe a una legge di bilancio del genere?
Certamente il Capo dello Stato non firmerebbe.
Esatto. Rinvierebbe la legge alle Camere per mancato rispetto del vincolo di bilancio. E in questo caso la sua non sarebbe una interferenza politica, ma l’esercizio di una sua legittima prerogativa.
Se però il parlamento rimandasse indietro la legge, Mattarella sarebbe costretto a promulgarla.
In punta di articolo 74 dovrebbe promulgarla. Questa legge sarebbe però pronta per essere portata davanti alla Corte costituzionale, nonostante i problemi di accesso che possiamo immaginare. La Corte in questi ultimi anni ha mostrato grande sensibilità — una sensibilità forse eccessiva — al ruolo del nuovo articolo 81 nel sistema costituzionale, facendone un principio condizionante tutti gli altri. Per non parlare poi di eventuali procedure di infrazione davanti alla Corte di Giustizia. E’ strano, ma la nostra Costituzione è stata costruita avendo sullo sfondo un modello economico imperniato su sviluppo e piena occupazione. Adesso questa stessa Costituzione si trova collocata in un contesto, che è quello del Fiscal compact e delle regole europee, dove il livello di disoccupazione è funzionale, diciamo così, al mantenimento di bassi livelli di inflazione e bassi tassi di interesse. Uno dei sottosegretari nominati nei giorni scorsi, Luciano Barra Caracciolo, ha scritto molto, e con grande precisione, di questi temi negli ultimi anni.
Ma allora è un vicolo cieco.
Se sia un vicolo cieco non lo so, ma è la situazione nella quale ci troviamo. Bisogna rendersi conto che in questi anni è stato costruito, in parte a livello costituzionale, in parte a livello europeo, un edificio normativo che di fatto rende incostituzionali politiche economiche di stampo keynesiano. E questo edificio ha più serrature e a più livelli. M5s e Lega sapevano di essere in un ginepraio, ma, evidentemente, chi ha parlato solo di riforma dell’articolo 81 non aveva ancora capito che il ginepraio è pieno di spine.
Si può uscirne?
Come è stato costruito, questo edificio può essere smontato. Ma è evidente che ci vogliono tempo e condizioni politiche. E un referendum dove ci si gioca tutto in qualche mese di campagna elettorale non sarebbe la strada migliore. E’ bene che quel progetto per il momento resti dov’è.
(Federico Ferraù)