Al di là della stretta vicenda giudiziaria, lo scandalo scoppiato a Roma sul nuovo stadio di Tor di Valle sta dicendo molto sui due soci di governo. Le indagini e gli arresti sono una faccenda grave, ma è ancora presto per dire se arriverà a minare le fondamenta dell’esecutivo Conte.

I lavori dell’impianto della Roma sono ancora di là da venire e, almeno al momento, la trama di presunta corruzione assomiglia più al vecchio e incrollabile malcostume italico che alligna nella capitale: cene, favori, promesse, millanterie, raccomandazioni. Sono indagini preventive in cui, nel racconto che ne fanno i giornali, gli abboccamenti diventano immediatamente mazzette.



A Roma si è già visto che l’inchiesta Mafia Capitale ha portato sì a condanne, ma non per mafia, con reati derubricati e pene ridotte. Anche in questo caso, gli agitatori di manette potrebbero restare delusi. Ma non si può dire che l’alleanza tra Lega e 5 Stelle non sia stata scossa dal bombardamento mediatico. Che stavolta mostra una novità sostanziale rispetto al passato: mentre Repubblica conduce l’ennesima campagna contro il nemico (da Berlusconi ai giallo-verdi, anche se non siamo ancora arrivati alle 10 domande), Il Fatto Quotidiano non si sottrae alle bordate contro gli “amici” grillini. Il loro vero bersaglio sono i leghisti, ma oggettivamente in questa indagine gli uomini di Salvini sono coinvolti più marginalmente rispetto ai 5 Stelle, che ci sono dentro fino al collo.



È una situazione per loro inedita: bersagliati sia dalla magistratura sia dal “fuoco amico” dei pochi giornali non ostili. I 5 Stelle sono come un pugile che non sa come uscire dall’angolo. Di Maio si nasconde ed evita di andare in tv; il ministro della Giustizia tace dopo essere stato uno degli sponsor dei faccendieri; Virginia Raggi nega oppure utilizza argomenti (“Mi attaccano perché sono una donna”) che pochi anni fa erano in bocca alla ministra Boschi e agli odiati renziani. Il loro imbarazzo è totale: hanno conquistato il potere cavalcando l’ondata giustizialista contro la “casta” e il berlusconismo e ora ne sono travolti. Quello stadio non lo volevano, così come le Olimpiadi romane, le ferrovie veloci, gli investimenti all’Ilva di Taranto; e adesso sono nel vortice mediatico-giudiziario per aver cambiato idea su volontà dei vertici, avendo accettato l’arrivo di un “consigliori” imposto dal cerchio magico di Casaleggio e Di Maio. Con uno degli intrallazzatori sorpreso a vantarsi: “Il governo lo sto a fa’ io…”.



La Lega invece si dimostra di tutt’altra pasta. Salvini è arrivato al vertice del partito proprio sfruttando a suo favore un’inchiesta, quella sui fondi neri, che ha affossato Bossi e il suo tesoriere Belsito. Oggi la Lega, sfiorata dalle carte giudiziarie romane, è anche nel mirino di chi indaga sui soldi finiti in Lussemburgo. Ma a differenza dell’altro vicepremier, il ministro dell’Interno non si sottrae al confronto, dà interviste, rilancia, sposta ancora l’obiettivo dei media sulle Ong e i disperati del Mediterraneo. Il cerchio magico di via Bellerio sa che difficilmente sarebbe stato risparmiato dai palazzi di giustizia. E soprattutto si rende conto che le inchieste non intaccano il favore degli elettori, come dimostrano i sondaggi sull’operato del Viminale.

Se è vero che il titolare dell’Interno appare il vero capo del governo, lo si deve anche all’inconsistenza e alla sprovvedutezza dei 5 Stelle. Mentre Salvini sfida l’Europa sulla gestione dei migranti, Di Maio finora ha fatto soltanto comizi promettendo “dignità” a disoccupati, inoccupati, cassintegrati, ma nulla di più. I 5 Stelle sono il primo partito in Parlamento e il primo contraente del governo, ma si rivelano il pilastro più fragile.

Se il terremoto giudiziario scuoterà ancora l’esecutivo, i grillini potrebbero non reggere. A differenza di Salvini, che nel ritorno alle urne ne trarrà ulteriore vantaggio. Se pm e giornali puntano a indebolire il ministro dell’Interno, potrebbero ritrovarsi in mano un boomerang.