La Merkel ha già spiegato tutto: “Una buona giornata per la collaborazione franco-tedesca”. E’ dalla seconda metà del XIX secolo che questo asse si scontra e incontra alla conquista di un’Europa che, lungi dal mostrare il suo imprinting neo-colonialista nei confronti del Mediterraneo, in realtà lo conquista con le carte e gli accordi posticci. Se ancora qualcuno pensa che, con la globalizzazione, la lunga durata che attraversa la struttura dei dinamismi storici sia un arnese da buttare, dia un’occhiata all’ultimo accordo franco-tedesco.



All’ingrosso, la questione è di natura interamente retorica, ossia sposta i termini della questione facendo finta di affrontarli. Macron e Merkel hanno dichiarato: l’Italia non può essere lasciata sola, la questione immigrazione è un tema europeo. La Merkel l’ha fatto perché il suo ministro dell’Interno ha capito che non si tratta di un gioco a somma zero e, di conseguenza, chi sembra oggi lontano dall’epicentro, domani pagherà prezzi molto alti.



Macron sta giocando il suo grottesco bonapartismo straccione tra la lezioncina di bon ton mista a predicozzo scolastico all’adolescente di turno e le rampogne all’Italia, per la serie il bue che dà del cornuto all’asino.

L’Europa non esiste non perché non debba in assoluto esistere, ma perché la sua classe dirigente è innanzitutto “digerente”, ossia ha digerito per intero il post-modernismo un tanto al chilo che si basa sull’incapacità di pensare per ideali pragmaticamente applicati, al di là del vecchio, e per certi versi pericoloso, orizzonte ideologico novecentesco.



L’esito è di fronte ai nostri occhi. Salvini sta facendo recitare bene la sua parte a Macron e la Merkel sta seguendo questa strada per manifesta incapacità di operare sul piano strategico-politico.

Si è chiusa una fase. Non basta più sorridere sarcasticamente di fronte a Berlusconi per accaparrarsi il consenso dei giornalini e delle élites di Davos; ora si deve fare sul serio. E qui i limiti oggettivi, soggettivi, culturali e strategici vengono a galla.

A seguire, nell’accordo, ci sono i punti riguardanti la collaborazione investigativa su sbarchi e potenziali terroristi a bordo dei barconi, ma anche qui domina la retorica parolaia. Perché, se non costruisci un assetto coordinato prima della prossima emergenza, stai ancora facendo salotto diplomatico.

Infine, ecco l’altro punto: la Merkel appoggia l’idea di un Fondo monetario europeo per i Paesi in difficoltà, che è l’ultima goliardata del presidente francese. In un’Europa divisa su tutto e con le politiche nazionali a decidere i comportamenti reali, anche ai confini, e la Francia ne sa qualcosa, di cosa stiamo parlando? Se la crisi europea perdura, la sindrome di Westfalia non abbandonerà mai l’Europa: lo Stato sono io, dice il presidente di turno.

Last but not least, l’Italia. Un Paese oggettivamente debole. La crisi italiana è una crisi storica. Noi non sappiamo più chi siamo e, se non sai chi sei, come puoi agire efficacemente sullo scacchiere internazionale? Non è un problema soltanto nostro, ma, detto questo, per dovere di analisi, le chiacchiere stanno a zero: la questione siamo noi.

Il filosofo Remo Bodei scrisse, ben prima dell’attuale crisi, del nostro “ethos diviso”, la malattia della divisione sui nodi cruciali, che indebolisce strutturalmente, secondo lui, la coscienza civica, io dico tutto il resto: cos’è l’Italia, oggi?

Il rischio reale è che l'”effetto Matteo”, ben noto ai sociologi, trionfi alla grande: “A chi ha sarà dato, e sarà in abbondanza; e a chi non ha, sarà tolto anche ciò che ha” (Mt 25,29). Per lo stesso principio, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Salvini è riuscito a spostare l’asse franco-tedesco, ma quest’ultimo si muove con leve retoriche, forte di interessi stratificati e di propaganda contro la propaganda opposta: un gioco a somma zero. Non ne usciamo. E l’Italia è debole, quindi ne esce anche peggio. Dura lex, sed lex.

Perché l’Italia è debole? Un indizio, che forse può abbozzare un paradigma indiziario: guardate i tassi di crescita del Paese fino al ’92 e verificate i mutamenti rispetto allo stato attuale. In mezzo abbiamo avuto una Maastricht con il grosso della classe dirigente che aveva portato l’Italia al livello della quarta potenza economica del mondo, superando l’Inghilterra della Thatcher, in manette, e ciò a causa di una strategia basata sull’alleanza magistratura-finanza internazionale. Parola d’ordine: onestà, onestà, onestà. Dopo questo trend, abbiamo avuto l’egemonia retorica nell’arena pubblica dell’onestà di parte, con i buoni, che sono amici, e i cattivi, che sono nemici. Se, poi, i miei “amici” fanno un po’ i “cattivi”, io ricorro al “garantismo” di “razza”: il mio detersivo lava più bianco. Le conseguenze di questo tritacarne, nella lunga durata, sono quelle che vediamo oggigiorno: le terze file sono oggi ministri e i fan delle grandi agenzie internazionali sono al seguito dei Macron e delle Merkel. Ecco perché, dal ’92, non sappiamo più chi siamo e l’Europa è diventata il nostro inferno.

L’effetto specchio dell’inferno dei bambini che muoiono in mare, sui barconi (ha ragione Salvini: sono “morti di Stato”) riconduce, appunto, all’inferno che, per noi, oggi, è l’Europa. Perché a chi ha sarà dato, nell’abbondanza, ma a chi non ha (radici, forza, ideali che tengono insieme, politica eccetera), sarà tolto anche quello che ha.

Anticipo l’obiezione: ma anche i primi, nell’abbondanza, Francia e Germania, sono sull’ottovolante della disgregazione, in qualche modo. Vero, ma ripeto: ognuno pensi alla sua crisi. Storica, in questo caso. Il motto deve essere: reinventarsi (nel senso dell’invenire latino, che vuol dite “trovare/scoprire”, non creare dal nulla) per affermarsi. Ri-trovarsi/ri-scoprirsi per affermarsi.

Hic Rhodus, hic salta. Il tempo si è fatto breve.