C’era una volta un politico che avanzò la teoria dei due forni, quello che i nostri nonni chiamavano “tenere il piede in due scarpe”; si chiamava Giulio Andreotti e oggi i partiti al governo se lo mangerebbero come simbolo della casta. C’è oggi il leader di uno di questi partiti anticasta, che si chiama Matteo Salvini, il quale ha raccolto l’eredità del divo Giulio e usa uno dei più vituperati metodi della prima repubblica come strumento di governo portato a livelli di alta professionalità.



Il primo forno è quello del rapporto di governo con i grillini: pacche sulle spalle e magnanimità nello spartirsi le poltrone. Salvini non è vorace, sa accontentarsi ed è abile nel lasciare spazi all’altro contraente del contratto, come si è visto nel numero di ministri, sottosegretari e presidenti di commissioni in Parlamento. Luigi Di Maio scalpita nella sua incapacità di reggere il confronto mediatico con il collega vicepremier leghista, ma è abbondantemente ripagato dal numero di poltrone che contano. E altre ne arriveranno, visto che tra poco si apriranno i dossier Rai, Cassa depositi e prestiti, società partecipate, forze dell’ordine, eccetera.



L’altro forno è quello aperto con il centrodestra. Silvio Berlusconi non è affatto tranquillo per l’operato salviniano. Le promesse di tenere un occhio di riguardo su tv e comunicazioni sono svanite e così pure l’attenzione sugli aspetti programmatici più sentiti dalle forze moderate, per puntare unicamente sull’immigrazione, sulle schedature dei rom e, dall’altro giorno, su un altro tema che suscita forti contrapposizioni nell’opinione pubblica, cioè i vaccini. Il “dottor” Salvini ha riaperto un fronte che sembrava chiuso, quello dell’obbligatorietà della prevenzione sanitaria e delle sanzioni per le famiglie recalcitranti, spaccando il governo (i grillini sono su tutt’altre posizioni) e scavando un altro solco con Forza Italia. 



Ma domani sera alla cena di Arcore il capo del Viminale si siederà a tavola con Silvio Berlusconi tranquillizzandolo, dicendo che tutto è sotto controllo e che per fortuna c’è lui al governo a tenere a bada quegli sciamannati dei 5 Stelle, altrimenti chissà quali disastri combinerebbero. E aggiungerà: rilassatevi, vedrete che Di Maio si sgonfierà da solo, un po’ faranno le inchieste e per il resto ci penserà l’insipienza grillina a logorarli. A quel punto si tornerà a votare e il centrodestra di nuovo unito trionferà.

Con le sue due facce, Giano Salvini è in grado di tenere buoni alleati e oppositori. Riempiendo tutti i giorni giornali e tg con dichiarazioni e comizi da campagna elettorale è riuscito a imporsi come il vero uomo forte di questa fase politica. Nonostante abbia la metà dei seggi in Parlamento rispetto ai 5 Stelle, ormai è lui il perno di ogni gioco politico. In realtà, prima che a Di Maio, Salvini ha strappato a Berlusconi questa centralità nella quale il Cavaliere si crogiolava prima del voto del 4 marzo, convinto di essere il vero ago della bilancia.

Ma il leader leghista ha fatto di più. È stato anche capace di ipnotizzare il Pd, che non batte colpo se non rincorrere vanamente le uscite del ministro dell’Interno, e così facendo si rinchiude sempre più in un angolo. Nessuna controproposta è finora venuta dall’opposizione di sinistra o moderata, nessun governo ombra, ma il semplicistico “andranno a sbattere da soli” dettato da Renzi che forse potrebbe valere per uno come Di Maio, ma non certo per una volpe come Salvini, il quale occupa tutti gli spazi che gli vengono lasciati liberi. Il Pd non pervenuto, Forza Italia paralizzata dall’eccesso di prudenza indotto dal piffero magico di Salvini, Giorgia Meloni in attesa di qualche strapuntino che compensi la “non sfiducia”. E intanto il governo Conte balbetta senza decidere nulla.