A Lamezia Terme c’è un parroco vincenziano, padre Giuseppe Martinelli, che, di fronte all’esigenza espressa dagli abitanti del quartiere di vivere in una città migliore, non degradata, più a dimensione umana, anziché assecondarli nella solita vuota richiesta alla “classe politica” ha iniziato a lavorare con loro in un percorso orientato al bene comune, aiutando gli stessi a occuparsi di Politica, con la “p” maiuscola, ovvero verso l’interesse generale.



Padre Giuseppe, da dove è nato l’impegno che stanno profondendo gli abitanti del quartiere di Sant’Eufemia?

L’impegno è nato dalla crisi che il comune di Lamezia Terme sta affrontando dopo il suo commissariamento. Tale scelta ha gettato tutti i cittadini nel baratro delle incertezze e nella perdita di punti di rifermento autorevoli e credibili capaci di dire e nello stesso tempo ascoltare la “vox populi”. Il mio impegno non è altro che la concretizzazione del desiderio comune dei cittadini: operare insieme per la crescita e il miglioramento del nostro territorio. In questa concretizzazione del desiderio, in maniera involontaria, abbiamo attuato il principio della sussidiarietà.



Come si sta concretizzando questo impegno?

I cittadini di Sant’Eufemia hanno dato prova, pur nella semplicità e nella quotidianità, di che cosa significhi realmente “fare politica”, cioè si è sperimentato che la politica è una forma esigente di carità, perché servizio a favore del prossimo, ricerca e attuazione del bene comune, dovere civico. Anzi oserei dire le stesse parole usate da Paul L. Landsberg: “la politica non è altro che la difesa della comunità reale a cui uno appartiene; chi non si difende è destinato a sparire”. Noi non vogliamo sparire, né tantomeno sopravvivere, vogliamo ridare voce al popolo, vogliamo che questo lembo di terra non venga seppellito e dimenticato in un futuro che diventa sempre più presente. Gli abitanti di Sant’Eufemia vogliono difendere questo territorio, non attraverso azioni illegali o illegittime, ma attraverso il principio di sussidiarietà, il quale permette di cooperare insieme alle istituzioni al bene di tutti. Difatti, nei vari incontri, sia come assemblea dei cittadini e sia come gruppo di lavoro pro Sant’Eufemia, la nota caratteristica non è stata quella della discussione dettata dalla polemica sterile, ma quella invece di ascoltarci per poi tematizzare i vari problemi e di proporre progetti a breve, come la pulizia del quartiere, e a lungo termine, per esempio il centro sociale per gli anziani.



Fa riferimento spesso al principio di sussidiarietà; cosa intende con questo? Specie in una città che per la terza volta, in poco più di vent’anni, non ha nemmeno una pubblica amministrazione eletta, un sindaco, un consiglio comunale, ma è soggetta nuovamente a una gestione commissariale dopo l’ennesimo scioglimento per mafia?

L’ultima parte dell’articolo 118 della Costituzione recita: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Il principio di sussidiarietà salvaguarda non solo la custodia del bene comune da parte del singolo cittadino, ma è un principio di relazionalità. Difatti tale principio mette in relazione il cittadino e le istituzioni, relazione che nel tempo è diventata sempre più debole causata dalla gestione unilaterale del bene comune. Il principio di sussidiarietà – sembra opportuno ricordare anche in quest’occasione – nasce nel pensiero socio-politico e si sviluppa nella dottrina sociale cristiana. In questo caso, come sta accadendo a Sant’Eufemia, chiesa, cittadini, e ci auguriamo al più presto anche le istituzioni, stanno cooperando insieme nella tutela del territorio. Già Aristotele aveva intuito la portata del principio di sussidiarietà quando aveva precisato che l’autorità della polis doveva intendersi circoscritta al solo esercizio delle funzioni essenziali per il benessere dei cittadini, mentre dovevano riconoscersi spazi di autonomia alle comunità minori.

Il popolo, la gente comune, come può contribuire?

La società civile, le famiglie, le associazioni, il volontariato devono avvertire una corresponsabilità nel perseguimento del bene comune e usare l’autonomia e la libertà che, giustamente, esigono dallo Stato per cooperare in maniera attiva, consapevole ed efficace alla promozione della persona e allo sviluppo della comunità. Solo la sinergia tra il potere pubblico e la responsabile collaborazione della società civile e delle organizzazioni private può garantire, in definitiva, il raggiungimento del bene comune, in una sintesi equilibrata dei diritti di libertà della persona, dell’autonomia dei corpi intermedi e delle esigenze della collettività.