Il Pd dice addio alla sua ridotta nell’Italia centrale, perdendo città “rosse” da sempre o quasi: Massa, Pisa, Siena, Terni. Ci vuole una nuova Bolognina, dice Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità, ma a una condizione: chi la fa, ammesso che si trovi, poi si deve fare da parte. Ecco, secondo Caldarola, valori, obiettivi e agenda della sinistra post-Pd.
Il Partito democratico è crollato.
Il progetto si era già liquefatto, era rimasto affidato ad alcune realtà locali e queste sono crollate. Resistono alcune realtà della Puglia (al centrosinistra vanno 5 comuni al voto su 11, tra questi Brindisi, ndr) in cui il partito ha fatto da sé anche senza Emiliano.
Cosa vuol dire?
Significa che chi chi fa da sé, resiste. Vale ad esempio per il terzo municipio di Roma. Il Pd locale che appartiene al Pd nazionale invece crolla.
Secondo Nardella, Renzi non ha colpe perché si è già fatto da parte.
E’ un ragionamento che non sta in piedi. La decadenza del Pd non inizia il 4 marzo, è dal successo alle europee 2014 che il Pd di Renzi non ne ha azzeccata una. In più ha avuto un ruolo dirimente nella crisi di governo: senza il suo no, forse si sarebbe avviata una trattativa con M5s e forse non ci sarebbe stato il governo Salvini-Di Maio. Renzi non è più il segretario, ma ha voluto decidere i capigruppo di Camera e Senato e continua a controllare l’apparato centrale del Pd. E’ vero che Renzi nella società non conta più niente; nessuno lo ha voluto per fare un comizio, hanno chiamato Gentiloni, ripescato Veltroni, ma fino a un mese fa dettava la linea al Pd con le interviste sui giornali.
Calenda ha detto che occorre andare oltre il Pd. Ma verso dove? Verso Macron, verso Saviano, verso il vecchio antifascismo?
La svolta macroniana in Italia non è possibile: manca l’humus. Macron è l’uomo che ha battuto la Le Pen, i leader del Pd hanno perso contro il Le Pen italiano. Il tema che va affrontato è un altro: lo scioglimento del Pd.
Per fare cosa?
Per creare una cosa diversa. Non un partito in cui tutte le anime sono sacrificate, represse da chi comanda, ma un partito in cui sensibilità politiche e culturali diverse si danno obiettivi comuni e si mettono assieme per fare una coalizione.
Una coalizione come il fronte repubblicano su cui insiste Calenda?
No, sarebbe perdente, l’idea è suggestiva ma il nome in Italia porta sfortuna. Dà l’idea di combattenti che hanno un’unica bandiera, invece a noi ne servono diverse.
Tutti nel Pd parlano di “progetto” da rifare, anche Martina, senza dire però quali dovrebbero essere le idee nuove. Lei cosa dice?
Dobbiamo pensare a un’altra modalità di fare politica, avere più livelli di interlocuzione, dall’anima socialista a quella popolare cattolica fino ad appellarci a forze che oggi non consideriamo nostre. Forze liberali e perfino alcune forze di destra, quelle che non accettano un’Italia xenofoba e che litiga con mezza Europa. E’ l’Italia della destra costituzionale, quella componente culturale aperta, animata dalla preoccupazione per l’armonia civile.
Questo in prospettiva. E nell’immediato?
Ci vuole una nuova Bolognina, fatta da un uomo coraggioso che dichiari conclusa l’esperienza del Pd. Può essere Zingaretti, Martina, ma chiunque faccia questa operazione deve anche mettere in conto di farsi probabilmente da parte. Non farlo fu l’errore di Occhetto.
Più anime in dialogo, e va bene, ma per fare cosa? Quale idea di società dovrebbe avere e proporre il nuovo partito?
Dovrebbe attaccare la diseguaglianza, le sperequazioni sociali, proponendo un modello fondato sulla collaborazione e la solidarietà. Andrebbero “rubate” molte idee al socialismo storico, non al comunismo, si badi, e ad alcune culture cattoliche popolari.
E l’antifascismo dove lo mettiamo?
Va tenuto in piedi perché non sappiamo dove vuole spingersi Salvini, ma non può essere usato a vanvera, per non fare l’errore di indicare un pericolo che la maggioranza degli italiani non vede.
Ma ci sono avvisaglie di fascismo secondo lei?
Non so se siano segnali di fascismo ma sono pericolosi. Un uomo del governo ha indicato un nostro paese confinante come principale “nemico dell’Italia”. Non era mai accaduto dal dopoguerra.
Ci sono molti fili che legano il Pd a M5s. Il movimento di Grillo e Casaleggio è pieno di elettori di sinistra in libera uscita.
Sì, e una conferma viene da Fatto Quotidiano, che è in grande imbarazzo nel dover dare conto degli “exploit” di Salvini e al tempo stesso nell’appoggiare il governo perché M5s è a Palazzo Chigi. C’è obiettivamente un conflitto tra la Lega e quella parte non minoritaria dell’elettorato di sinistra che si era rifugiato in M5s pensando di fare un nuovo partito di sinistra. Dopo il 4 marzo si sono scritti molti commenti celebrandone la rinascita. Però in chiave giustizialista.
E il “nuovo” Pd cosa deve fare rispetto ai suoi ex elettori?
Di certo non deve ambire a un ribaltone di palazzo, piuttosto lavorare per acuire i momenti di conflitto tra Lega e M5s. Ci sono, e saranno sempre più evidenti.
Nel frattempo Imola e Avellino sono due belle vittorie di M5s.
Nulla fa pensare che il mondo che sostiene Salvini si stia incrinando. Ma che il mondo che sostiene Di Maio abbia molti dubbi, di segni ce ne sono eccome.
(Federico Ferraù)