Oggi si apre uno dei Consigli Ue più difficili e delicati. Al centro dei colloqui, il nodo dell’immigrazione, con l’Italia pronta a dare battaglia per superare l’accordo di Dublino e anche il criterio del “Paese di primo arrivo”. “Anche questo — ha dichiarato ieri alla Camera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte — non è idoneo a gestire i flussi in modo efficace e sostenibile: va affermato il principio che chi sbarca in Italia, o in qualsiasi altro Paese di primo arrivo, sbarca in Europa”. Ma sulla questione migranti la Ue arriva divisa, compresa la stessa Germania, lacerata da uno scontro interno tra la cancelliera Angela Merkel e il ministro dell’Interno della Csu, Horst Seehofer, che potrebbe sfociare in una crisi di governo e in un ritorno anticipato alle urne. Con quali rischi per l’Europa e per l’Italia? Lo abbiamo chiesto a Carlo Altomonte, professore di economia dell’integrazione europea all’Università Bocconi.
Il Consiglio Ue di oggi e domani sarà cruciale. È a rischio la tenuta stessa dell’Unione o il futuro politico della Merkel?
Le due cose sono strettamente legate. Se salta la Merkel e la Germania dovesse andare al voto, è chiaro che il nuovo cancelliere tedesco non sarebbe di certo più malleabile dell’attuale. Quindi penso che sia interesse comune quello di preservare la Merkel al suo posto. Così l’Unione stessa si sentirebbe più tranquilla.
Il tema più controverso sul tavolo è quello dell’immigrazione?
Certo. Il tema è molto delicato, ma proprio per le ragioni ricordate poc’anzi penso che sull’immigrazione verrà trovato un minimo accordo comune, che non urti troppo la Francia, visto che Macron si è dimostrato il più critico sulle posizioni avanzate dall’Italia. Dall’altra parte, però, bisognerà stare attenti a non presentare l’eventuale accordo come un trionfo di Salvini, perché questo metterebbe proprio Macron in difficoltà sul fronte interno francese.
Quindi, secondo lei, alla fine la proposta italiana potrebbe anche passare?
Penso di sì. Ritengo, invece, più difficile che si arrivi a un accordo sugli altri temi dell’Eurozona in agenda, a partire dal bilancio comune, che saranno rinviati a dicembre.
Il fatto che si sia giunti così vicino a un punto di rottura è anche frutto dell’inazione e del rinvio dei problemi che hanno caratterizzato molti dei vertici europei precedenti?
In questi anni il modello di crescita dell’Europa è stato a forte trazione export e surplus delle partite correnti, con compressione invece della domanda interna e degli investimenti. È il modello fortemente voluto e imposto dalla Germania, il cui principio base si può riassumere così: che si spenda il meno possibile per le politiche di difesa e sull’immigrazione, scaricando gli oneri su altri Paesi. La Germania è stata finora assolutamente coerente con questa impostazione, facendo di tutto per rinviare il redde rationem. Ma ora il momento è arrivato: con i dazi, l’obiettivo di Trump è quello di colpire il surplus commerciale tedesco, mentre sull’immigrazione l’Italia è oggi in prima linea affinché l’Europa assuma una posizione più condivisa anche sotto il profilo finanziario. E questa posizione mette in crisi la Germania, la obbliga a cambiare registro.
In effetti sulla questione migranti in Germania si rischia una crisi politica con possibilità di andare a elezioni anticipate. Dovesse accadere, che scenari si aprirebbero per l’Unione Europea?
Sarebbe l’Hamilton moment dell’Europa. Alexander Hamilton fu il il politico che nel 1790, in piena crisi del debito degli Stati americani, da segretario del Tesoro ne decise la mutualizzazione, dando così avvio, di fatto, alla nascita degli Stati Uniti. La Germania andrebbe al voto non tanto sulla questione destra o sinistra, ma mettendo per la prima volta al centro del dibattito le domande: più Europa o meno Europa? Integrazione sì o integrazione no? Questo dibattito serio sul futuro assetto dell’Europa, che ha già interessato la Spagna, la Francia e l’Italia, toccherebbe finalmente anche la Germania. E se, poi, l’esito elettorale dovesse essere negativo, l’Europa rischierebbe di saltare.
C’è chi ipotizza che l’Italia, qualora impuntasse troppo i piedi sulla questione dei movimenti secondari dei migranti, possa essere tagliata fuori dagli accordi di Schengen. Si arriverà a tanto?
Questa è la cosiddetta opzione nucleare, e come tutte le opzioni nucleari può non essere fatta detonare solo se si possono contrapporre altre armi di uguale deterrenza. La Germania minaccia l’uscita dell’Italia da Schengen? Ebbene, l’Italia potrebbe minacciare l’uscita dall’euro. Ritengo, quindi, che i tedeschi non arriveranno a schiacciare questo bottone, sarebbe come rompere le relazioni diplomatiche, oltre tutto rinfocolando i sovranismi, che metterebbero così ancor più a repentaglio gli interessi di Francia e Germania. In Europa, ormai, la rete degli interessi reciproci è molto stretta.
Le difficoltà a trovare un accordo sull’immigrazione potrebbero rallentare o complicare gli altri dossier Ue in agenda, dalla nuova governance al completamento dell’unione bancaria?
Questo è il vero punto. Quanto più capitale politico l’Italia spenderà sul tema dell’immigrazione, tanto meno ne avrà su altri fronti. L’immigrazione è un tema caldo soprattutto per una delle due forze politiche al governo. Quindi, in chiave di equilibri politici interni, non ha senso che il primo ministro Conte batta troppo i pugni sul tavolo, per non concedere troppi metri di vantaggio a Salvini.
(Marco Biscella)