L’11 marzo scorso scrivevo su queste pagine, con nozione di causa, che “Boeri salta sul carro di Di Maio”. Martedì 19 giugno a “Porta a Porta” Di Maio ha raccontato del suo progetto da condividere con Boeri per mettere giù il primo (non dichiarato) mattone della riforma delle pensioni alla luce della giustizia sociale o come altrove viene detto dell’equità sociale. Così, per completare il gioco, Di Maio è saltato sul carro di Boeri. Come a voler dire – facendo in “simil modo” un pastrocchio pari a quanto fanno i Cinque stelle scopiazzando qua e là – che Masaniello salta sul carro del nipote del Conte Zio.
Per la dichiarazione bisogna aspettare ancora, perché tale dichiarazione verrà resa dopo che, e se, sarà scoppiato un altro fidanzamento dopo quello con Salvini, sullo sfondo illuminato dalla luce dell’equità sociale. Per carità, non si equivochi: nessuno può essere contrario alle verità elementari e appassionate riguardanti il popolo, di cui trasudano i discorsi dei due vicepremier. Ci mancherebbe. Ormai quando ne parlano, come ne ha parlato Di Maio a Vespa, e si prova a criticarli, sembra di sparare sul Papa quando invoca la misericordia. E questo non va, perché l’emotività veicola come un lubrificante la contestuale azione che invece, se lo richiede, deve essere e va contestata e contrastata.
Ha ragione Lao Xi quando dice che un certo comportamento fa dell’attuale governo la punta di un mezzo corazzato che si chiama partito unico, citando le pecche di Repubblica e del Pd. E allo stesso tempo ha torto, perché non è vero che non esiste opposizione. Non esiste forse quella intelligentemente organizzata e istituzionalmente titolata cui lui vuole si faccia riferimento come espressione mediatica, partitica e parlamentare.
Esiste, invece, quell’opposizione minuta, variegata, ma forse più vera e meno manipolabile nei sondaggi; opposizione esistente nella società civile, nella cultura, nel mondo del lavoro, quell’opposizione da caffé sia letterario che di bar da gente minuta che Popolari & Progressisti rilancia anche quotidianamente. Ma ragioni e torti sono, nei commenti politici, giochi di specchi. Una cosa è concreta, però.
L’opposizione vera che nasce spontanea rispetto a certi guasti immaginabili a causa di una politica povera di visione tanto per i suoi contenuti, quanto per come li elabora e propaganda. Che Di Maio sia un “prodotto” scelto, perché vendibile e selezionato su un campione mass market, dalla Casaleggio & Grillo, che è la direzione marketing del M5s, è ormai noto a tutti, al pari del vuoto pneumatico esistente nell’elaborazione politica delle tematiche fondamentali all’interno del movimento. Vuoto pneumatico che nè Di Battista con le sue performance riesce a coprire, né Giorgetti con i suoi modi di andreottiana e lontanissima memoria riesce a far dimenticare.
Ecco perché Rousseau, nella sua tensostruttura, è un pallone gonfiato, morbido e avvolgente, un megaschermo con terminali che rimandano martellanti le parole d’ordine del gruppo dirigente, e al contempo rassicurante come un sorriso del vicepremier, complementare con quello grintoso da giuramento a Pontida dell’altro vice.
Qualcuno che di previdenza sa poco si deve essere allarmato quando ha letto l’ultimo pensiero pubblicato giorni fa sulle buche presenti nel percorso pensioni/reddito di cittadinanza del duo. Perché si metteva in evidenza dove e come operare, visto che il trascinamento dell’adeguamento provocava un effetto reddito negativo. Ma questo fa poco richiamo e i due non alleati, ma forse competitor amicali, hanno necessità l’un l’atro di mantenere alta l’emersione mediatica.
Cosa si è andato a studiare Di Maio? La tripletta “taglio i vitalizi (la cui delibera, con cui si intende “sforbiciare” più di 1.300 assegni di ex deputati, è stata illustrata ieri all’Ufficio di presidenza di Montecitorio dal presidente della Camera, Roberto Fico), taglio le pensioni d’oro per contributi non corrisposti al punto da giustificare il loro livello e con il ricavato alzo le pensioni minime”, secondo quell’equità che Boeri aveva già propagandato qualche giorno fa in un suo noto rapporto che aveva dato fastidio alla casta pur provenendo lui dalla casta.
Giriamo dietro l’idolo della casta, i cui officianti detrattori sono della stessa composizione organica per cercare qualcosa e scoprire un altro vuoto: quello lasciato da un conclamato cambiamento che non riesce a gestire una legge per cui in passato ha dichiarato di volerla distruggere, che non sa maneggiare la strumentazione giuridica a disposizione, che non ha una visione generale per il Paese, al contrario del dichiarato. E persegue solo quella visione narcisistica dell'”Ho fatto io” che coglie (era già successo con la Fornero, si ripete con Boeri, eccetera eccetera) una buona parte della classe dirigente paretiana di fronte a eventi che offrono la possibilità di lasciare il segno, perseguendo il “loro” sogno, non quello di chi dicono vorrebbero realizzare. Altrimenti non si leggerebbero tante castronerie, non si registrerebbero tante scopiazzature per riempire vuoti intellettuali, strumentali e politici che accompagnano una così acuta mancanza pluriennale di serio confronto.
Così se Di Maio salta sul carro di Boeri e Boeri sul carro di Di Maio avremo un’altra puntata di “Oggi le comiche”. Ricordo che il segreto della comicità sono i tempi. Se i due sbagliano i tempi, saltando cascano, ma non nel carro dell’uno o dell’altro, bensì nella padella. Così si fidanzano e non toccherà cercare un successore a Boeri, verrà dispiegata la bandiera della giustizia sociale e dell’equità come vessillo contro il quale non ci si può scagliare. E così dopo i populisti, i sovranisti e i nazionalisti li recupereremo pure come giustizialisti.
Ma qui risiede il trucco. Perché sotto un’unica bandiera va scoperta la vera unità d’intenti e di strumenti. Invece di misure fiscali come valido e maneggevole strumento, si preferiranno i ricalcoli contributivi, come pessimo grimaldello suscettibile di ricorso costituzionale, ma così affascinante, rivoluzionario, egualitario per tagliare un traguardo e chiudere il sipario della comica.
Quale? Esperito quello della padella, ora il salto è dalla padella alla brace. E come al solito da ridere – quello vero, salutare – ce n’è ben poco. Il miglior augurio è di accompagnare il non abbandono della maieutica con l’ errore”popperiano”. Ma gli attori sono così prevedibili, anche nelle segrete intenzioni, che al di là della noia, l’unico flash vitale è che, leggendo questo articolo, Di Maio e Boeri decidano di fare tutt’altro.