La fotografia della crisi in cui si dibatte il Movimento 5 Stelle è quella di Beppe Grillo a pranzo con Roberto Fico, presidente della Camera, e Virginia Raggi, sindaco di Roma. Per l’ennesima volta il comico genovese è costretto ad accorrere al capezzale della sua creatura nei momenti difficili, nonostante le cicliche citazioni di farsi da parte. Grillo plana nella capitale, e con la sua presenza sembra tutelare i suoi. Fico, Raggi, ma anche il ministro della Giustizia Bonafede.



E’ soprattutto al numero uno di Montecitorio che in questo momento è affidato l’arduo compito di difendere la linea del Piave del Movimento, la cancellazione dei vitalizi degli ex parlamentari. Una sfida difficilissima, che potrebbe finire in una sanguinosa vittoria di Pirro, con i tagli presto falcidiati dai tribunali per la possibile incostituzionalità di una misura che tocca i diritti acquisiti dagli ex onorevoli e senatori.



Eppure quella sui vitalizi sembrava la battaglia più facile da vincere, almeno sino a quando l’accorta presidente del Senato, Casellati, non si è sfilata dal fronte comune contro i privilegi della casta. 

Sugli altri fronti va persino peggio, e i grillini continuano a subire l’attivismo sfrenato di Salvini. Il guaio è che il leader leghista sembra aver scelto battaglie impegnative, ma non impossibili da vincere (migranti, legittima difesa, ecc.), mentre Di Maio e soci hanno bisogno di fondi consistenti per concretizzare le promesse che hanno convinti quasi un terzo degli elettori. Per essere chiari: le battaglie leghiste sono low cost rispetto a quelle dei 5 Stelle. 



Di questo evidente momento di difficoltà Beppe Grillo è sembrato perfettamente consapevole nel momento in cui ha lanciato quella che è di tutta evidenza una manovra diversiva, l’idea bislacca di un Senato composto per sorteggio. Una maniera più efficace di aiutare i suoi ragazzi Grillo non è riuscita a escogitarla, anche se ne avrebbero avuto bisogno.

Sotto i colpi del “bambole, non c’è una lira”, come ai tempi dell’avanspettacolo stanno segnando il passo tutte le battaglie storiche e distintive del Movimento 5 Stelle. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria non solo ha frenato l’impeto di Di Maio sull’annunciato “decreto dignità”, ma ha anche fatto capire che non farà alcun passo senza coperture finanziarie. E questo proietta sinistre ombre sulla possibilità che il reddito di cittadinanza, autentica bandiera del M5s, possa vedere la luce il prossimo anno attraverso la legge di bilancio che verrà discussa in autunno. 

Inevitabile che questo quadro a tinte fosche generi nervosismo nel corpaccione numeroso e variegato del pattuglione parlamentare pentastellato. Per ora le perplessità sono solo sussurrate, ma potrebbero esplodere presto, di fronte all’impossibilità di mantenere le promesse elettorali. A spargere sale sulle ferite anche i sondaggi, che indicano i 5 Stelle in netto calo dopo un mese di governo, e la Lega in vertiginosa salita, dal 17% del 4 marzo al 29% di oggi, quota intorno alla quale secondo alcuni il sorpasso di Salvini rispetto a Di Maio sarebbe già avvenuto.

L’assenza di risorse finanziarie per una legge di bilancio espansiva potrebbe costituire il detonatore di una fine prematura del governo, anche per via della tentazione di passare all’incasso che simili sondaggi rappresentano per Salvini. Per il governo giallo-verde si tratterebbe di una rapida fine dell’esperimento, intorno alla fine dell’anno. L’ipotesi di tornare alle urne a inizio 2019 è più concreta di quanto non s’immagini, e rappresenta un autentico incubo per i vertici del Movimento 5 Stelle. 

Non consola l’attenzione che viene da sinistra, da parte di chi, come Bersani, è convinto della necessità di dover mettere un cuneo fra pentastellati e Lega per evitare che questo asse si rafforzi troppo. Al momento si tratta di una riflessione minoritaria, e che trova poche spinte dentro il Movimento. Ma se Salvini dovesse continuare a dettare l’agenda del governo di Giuseppe Conte, mettendo costantemente nell’angolo le battaglie grilline, un problema di convivenza prima o poi si porrebbe seriamente.