Si svolge in queste ore il vertice di una Unione Europea mai così disunita come sulla questione migratoria. Angela Merkel spera in una soluzione che le garantisca una sopravvivenza politica, per Macron non darla vinta all’Italia a trazione leghista significa arginare Marine Le Pen, il governo Conte agita il veto sul documento finale del vertice, una eventualità che sancirebbe una “prima volta” nella storia comunitaria del nostro paese. “La vicenda migranti sta facendo esplodere le contraddizioni della Ue — spiega al Sussidiario Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche —, ma l’Unione Europea è divisa in primo luogo per motivi economici, e più esattamente per la gestione fallimentare della crisi”. Come in un prisma, abbiamo cercato di scomporre la crisi europea nei suoi principali fattori. A cominciare dal paese egemone.



Si può dire che Angela Merkel è in crisi per le preoccupazioni elettorali del suo ministro Seehofer?

E’ una lettura corretta ma non esaustiva. Seehofer ha senz’altro il problema delle elezioni di questo autunno in Baviera, in cui la sua Csu teme di perdere voti a favore dell’AfD, ma i problemi sono più di fondo: non dimentichiamo che la leadership della Merkel era già stata contestata prima delle elezioni politiche, e che esse hanno dato un risultato molto deludente per il suo partito; il fatto che siano stati necessari 7 mesi per formare il governo dice tutto. 



Che cosa ha sbagliato la cancelliera?

In Germania, come altrove, vediamo una crisi delle coalizioni che hanno gestito la Grande Recessione. Gestione che neanche in Germania è stata brillante, se pensiamo all’aumento della povertà e delle disuguaglianze. Ma, come oggi (ieri, ndr) rileva con preoccupazione la Frankfurter Allgemeine Zeitung, c’è anche qualcosa di più: la crisi della Cdu come “partito di sistema” e la fine di un modello che vedeva il dominio incontrastato della Cdu come partito centrale della coalizione.

Macron ha proposto alla Merkel di costituire un bilancio comune dell’Ue, che però nell’ultimo Eurogruppo è stato bocciato da 12 paesi dell’Eurozona, molti dei quali facenti parte dell’orbita tedesca. Perché secondo lei?



Le grandi imprese e le grandi banche tedesche hanno tutto l’interesse al rafforzamento dell’Ue e al puntellamento dell’Eurozona. Il problema è che oggi qualsiasi passo ulteriore in direzione di un’integrazione è visto con sospetto proprio dai paesi satelliti della Germania, i quali hanno raccontato così a lungo ai loro elettori la favola delle formiche del Nord che pagano per le cicale del Sud, che hanno finito per crederci. Anche il partito della Merkel ha alimentato questa favola populista, ma la cancelliera tedesca è ancora abbastanza intelligente da non crederci.   

La Spd che cosa farà? Sosterrà la Merkel o la abbandonerà al suo destino?

L’orientamento prevalente — molto chiaro nelle dichiarazioni di Gabriel di qualche giorno fa — è di sostegno alla Merkel, anche se ultimamente mi sembra prevalga la sensazione che sia una causa persa. La Grosse Koalition era in tutta evidenza arrivata al capolinea con la scorsa legislatura, come dimostra la sconfitta elettorale contemporanea di Cdu e Spd. Questo remake è nato sull’onda di un’emergenza (il fallimento delle trattative della Cdu con verdi e liberali a causa di questi ultimi) e del terrore dell’Spd di tornare al voto. E’ evidente che questa fase è finita, e che avrebbe dovuto lasciare il passo al ripristino di una dialettica destra/sinistra, con l’una al governo e l’altra all’opposizione. Non è stato possibile perché i due principali partiti sono ormai anche programmaticamente molto simili. Questo contribuisce anche a spiegare il successo di un partito come l’AfD, che si pone come antisistema. Per questo partito la GroKo è il più grande dei regali.

Che effetto avrà l’emergenza migratoria sulla “disunione europea”?

La vicenda migranti sta facendo esplodere le contraddizioni della Ue: una solidarietà intra-europea predicata ma inesistente, un trattato di Schengen che ormai da anni esiste solo sulla carta per molti dei paesi che l’hanno firmato, un’Unione che ormai sembra guidata da un unico criterio: i rapporti di forza. Rispetto a tutto questo, è stato sufficiente un governo italiano che ha cambiato gioco e ha cominciato a dire dei “no” per destabilizzare l’Unione.  

Però ci sono diversi aspetti che si sovrappongono alterando la prospettiva. L’Europa è divisa principalmente a causa dei migranti?

No. L’Unione Europea è divisa in primo luogo per motivi economici, e più esattamente per la gestione fallimentare della crisi. Questa gestione ha enfatizzato precisamente gli aspetti sbagliati dell’architettura istituzionale dell’Ue, portandoli alle estreme conseguenze — si pensi al Fiscal compact, e più in concreto all’imposizione ai paesi in crisi, tra cui il nostro, di politiche di bilancio restrittive e quindi pro-cicliche. 

Risultato?

Il risultato è stata una distruzione di capacità produttiva e di occupazione molto superiore a quella necessaria, una marcata divergenza tra le economie e un solco molto profondo scavato tra i popoli europei. 

Quale sarà il destino dell’Unione?

Credo che l’assetto attuale sia così rigido, e quindi così fragile, che a regole invariate non riuscirebbe a sopravvivere a un’altra recessione economica. 

Le cito un recente tweet di Wolfgang Münchau: “L’Ue non può più dare per scontato che l’Italia continui a sottoscrivere accordi che non sono manifestamente nell’interesse del Paese – come l’Esm o la direttiva sulla risoluzione delle banche”.

La risposta è quello cui stiamo assistendo in questi giorni. Münchau ha perfettamente ragione, e i nostri partner dovranno farsene una ragione. Tra parentesi faccio notare che qui, ad affermare — come se fosse una cosa ovvia — che il fondo salva-stati o l’unione bancaria sono stati lesivi degli interessi nazionali dell’Italia, è una delle migliori firme del Financial Times. Molti dei nostri commentatori invece continuano imperterriti a tacciare di “populista” chi in Italia sostiene da anni le stesse cose. 

Forse sarà proprio la Germania a decidere il destino della moneta unica. Ma questo euro, così come è oggi, conviene o non conviene ai tedeschi?

Qui bisogna distinguere. Le grandi imprese e le grandi banche tedesche, assieme allo strato più ricco della popolazione di quel paese, hanno senz’altro tratto forte vantaggio dall’unione monetaria. Lo stesso non si può dire di vasti strati di lavoratori tedeschi, che hanno beneficiato in misura marginale degli aumenti di produttività del lavoro di questi anni, e dei milioni di lavoratori precarizzati e sottopagati che caratterizzano il panorama economico di quel paese soprattutto nel settore dei servizi. Questo apparente paradosso si spiega facilmente: se gioco tutte le mie carte sull’export, e a questo obiettivo sacrifico i salari, è ovvio che il risultato saranno imprese esportatrici più ricche e vasti strati di lavoratori più poveri. Il dato citato a suo tempo da Bofinger, uno dei saggi economici del governo tedesco nella passata legislatura, dice tutto: dal 1999 al 2008 i salari reali tedeschi nei settori esposti alla concorrenza internazionale sono diminuiti del 9% in termini reali. Questo spiega molte cose anche delle attuali difficoltà della cancelliera. 

Veniamo all’Italia. Adesso le cito Calenda: “Uno stato con il 130% di rapporto debito/Pil senza euro fallisce”. Come commenta?

Come sa chiunque abbia minimamente studiato queste cose, è molto più facile fallire stando nell’euro che fuori. Per il semplice motivo che il debito denominato in euro è di fatto debito in una valuta estera, oltretutto in un contesto istituzionale in cui la banca centrale è indipendente ed è proibito — salvo in casi eccezionali — il finanziamento del debito pubblico degli Stati da parte della stessa Bce. Per una trattazione seria ed equilibrata di questi temi l’ex ministro Calenda può utilmente rivolgersi alla lettura del libro di Giovanni Siciliano Vivere e morire di euro

La fine del Pd insegna qualcosa anche ai tedeschi, ammesso che ne conoscano l’esistenza?

Se non ricordo male negli ultimi sondaggi la Sdp ha percentuali di voto inferiori a quelle del Pd. 

Come può l’Italia investire sulla crescita senza cadere nella trappola dello spread?

Io credo che una politica seria finalizzata alla crescita, essendo l’unica politica in grado di ridurre il debito nel medio periodo, possa essere raccontata a chi opera sui mercati e risultare convincente. La politica basata sulla paura e sul ricatto dello spread è comunque la politica peggiore. Anche ai fini della riduzione del debito. Il governo che ha tagliato di più, quello di Monti, ci ha lasciato con il 13% in più di debito pubblico.

E che cosa ha penalizzato di più la nostra crescita?

Sono stati precisamente i tagli, in particolare agli investimenti. 

(Federico Ferraù)