Si dice che il neo-ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, abbia già preso contatti con Piercamillo Davigo e Nino Di Matteo (che dovrebbe chiamare al ministero), due magistrati “intransigenti”, forse gli “Javert” della giustizia italiana. In questo modo, con la parte del programma del nuovo governo-contratto di Giuseppe Conte relativo alla giustizia, si vara un autentico esecutivo di destra, concludendo la lunga marcia cominciata dal grande feudo della Procura di Milano nel 1992.
Finalmente si ottiene una Repubblica fondata sulla “certezza della pena”, come neppure Saint-Just e Robespierre osavano chiedere, perché si battevano per la certezza del diritto. Fosse ancora vivo un grande filosofo del diritto come Hans Kelsen trasecolerebbe, perché in Italia arriverà pure la “certezza della pena”, ma quella del diritto resta un optional.
I milanesi si accontentino poi di dimenticare il nonno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria, che non ha neppure una tomba (il cadavere fu gettato nella Moiazza) e per avere i suoi scritti, l’opera omnia, occorrerà rivolgersi a Mediobanca, che non li vende, ma li ricostruisce con grande passione per soci e appassionati.
In definitiva, addio alla prescrizione e “più galera per tutti”. Ottimo! Prima di arrivare al grande dibattito sull’euro e sull’Europa, affrontato in modo sgangherato, nella campagna elettorale più sgangherata della storia repubblicana, per nascondere in realtà il vero disagio di un Paese che non cresce più dal secondo semestre del 1992, che non riesce a uscire da una lunga stagnazione prima ancora che arrivasse la grande crisi del 2007. E con una classe dirigente, intesa in senso ampio, che potrebbe assomigliare a una banda di Paese e invece viene spacciata per “seconda”, e ora per “terza” repubblica.
Le cause di questa autentica svolta a destra, soprannominata “populista” e anti-sistema, sono la conseguenza di errori commessi non sola dai magistrati, ma dai cosiddetti “capitani di sventura” (così li chiamava Marco Borsa), i nostri “grandi borghesi” che avevano voglia solo di scappare all’estero, fare quattrini e imbarcarsi nell’avventura vantaggiosa della finanza. Poi i “banchieri del menga”, quelli che avevano persino paura di parlare davanti a Cuccia, che hanno reinventato la “banca universale”, quella che secondo alcuni vende “la emme di Cambronne”.
Infine gli intellettuali di ogni tipo, di destra e di sinistra, che hanno scritto il possibile e l’impossibile sui giornali dei “capitani di sventura”, trasformati anche in editori. Altra specialità italiana. E ancora gli uomini soli al comando. La sequenza è stata infernale: dal cavaliere di Arcore all'”uomo del pendolino di Gradoli”, in altalena costante. In più una sinistra, a tradizione massimalista dal 1912 al 1999, che si scopre liberista e americanizzante, che diventa alfiere del pensiero unico liberista, fedele di Bill Clinton e di Tony Blair, ipotizzando l’Ulivo mondiale. Una comica che è costata carissima, in voti e fuga dalla politica di un popolo frastornato e dimenticato in un passaggio cruciale della storia.
Certo, venerdì scorso, con la fine della lunga crisi causata dal terremoto elettorale del 4 marzo, c’è stata una boccata d’ossigeno, ma non si può fare come gli struzzi e mettere la testa nella sabbia. Abbiamo definito la maggioranza (per contratto!) un ircocervo, un animale mitologico, di destra ma con delle contraddizioni, da non confondere con il fascismo, come qualcuno dice straparlando.
Il compianto Vittorio Strada scriveva in una grande saggio, Impero e rivoluzione, che non avremmo conosciuto né Hitler né Mussolini, né il nazismo né il fascismo se non fosse scoppiata la prima guerra mondiale.
In realtà, questo governo è il frutto avvelenato di errori marchiani e ha ottenuto una maggioranza “populista” inaugurando una novità assoluta. Se è vero che, con questa globalizzazione forzata, è entrata in crisi, in tutto l’Occidente, la democrazia rappresentativa, in Italia si è caduti come al solito nel patologico, partorendo con il voto legittimo una maggioranza “populista” e un governo “populista”, con due vicepresidenti che si chiamano Matteo Salvini (fan della Le Pen) e Luigi Di Maio (pupillo di un comico).
Di fronte a tutto questo, sarebbe meglio che Jean Claude Junker, famoso statista lussemburghese, bevesse e parlasse meno, astenendosi dall’insegnare l’elusione delle tasse e incrementando involontariamente i voti “populisti” in tutta Europa.
Forse a questa Italia, anche se con un governo di destra, converrebbe pensare a un’alleanza con Francia e Spagna (se regge il socialista Sanchez). Potrebbe essere una strada su cui ragionare, smettendo di fare proclami e di dire pistolate in libera uscita.