Questo governo giallo-verde ha bisogno di un’opposizione. E di un’opposizione seria. Non a prescindere, ma per una corretta fisiologia parlamentare, nel quadro che ci prescrive una democrazia parlamentare, quale è quella che fin qui ci prescrive la Costituzione, che nessun turno elettorale può abrogare. Come per altro si è visto nella gestione della crisi di governo, dove alla fine fondamentalmente è stato il Presidente Mattarella a far valere le sue prerogative; e non il suo arbitrio, cosa di cui pure è stato accusato. 



Questo governo, che ha profili certamente di eccezionalità, legati al larghissimo bisogno di cambiamento fatto valere nelle urne del 4 marzo, al di là del pur nevralgico problema delle risorse che servono al suo programma-contratto di governo, annuncia cambiamenti importanti a diversi livelli. Cambiamenti alcuni condivisibili e auspicabili — sostegno ai ceti più deboli e al tessuto a rischio delle aree più produttive del paese, rilancio della natalità e, almeno per il nome di un ministero, “questione meridionale”, togliere dal groppone dei giovani il macigno esistenziale della mancanza di lavoro o della sua precarietà —, altri tutti da decifrare e in alcuni casi preoccupanti: stretta sull’immigrazione (come?), flat tax (a vantaggio di chi?), democrazia diretta (che significa? Al di là dell’illusione che in una società complessa, e alla fine in ogni società, “uno vale uno”, quando non è vero neppure sulla piattaforma Rousseau).



L’opposizione che serve a questo governo, perché serve al paese, è un’opposizione che aiuti a realizzare i cambiamenti condivisibili e impedisca cambiamenti in peggio. Storicamente la teologia del cambiamento socio-economico ha prodotto più inferni che paradisi, e comunque rispetto ai vincoli di realtà le chiacchiere stanno a zero. Quindi lo spazio di un’opposizione, che farebbe bene persino al governo giallo-verde, c’è.

Ma chi la può fare quest’opposizione? La nascita del governo Conte ha cambiato lo scenario politico tripolare su cui si è votato: centrodestra, M5s, Pd e dintorni. Sempre tripolare la scena, ma diversi sono i contenuti dei poli, stando agli ultimi sondaggi: un terzo sta con Salvini, un terzo sta con Di Maio, un terzo è finito all’opposizione per scomposizione del centrodestra (Berlusconi, Meloni) e per restringimento del centrosinistra.



L’opposizione dovrebbe farla questo terzo, eterogeno nella sua composizione e fondamentalmente senza leadership, o leadership che dovrebbero passare ma non vogliono passare (Berlusconi, Renzi). Ed ha poco senso invocare ammucchiate repubblicane in funzione antigovernativa. Sarebbero lette come resistenza al cambiamento di quelli che lo hanno fatto invocare e votare dagli italiani. Più sensato sarebbe un’opposizione non politicista, in vista di un improbabile cartello elettorale, ma politica. I temi ci sono e in un sistema proporzionale, che resterà, potrebbe anche essere — se meritasse — più redditizia sul piano elettorale.

E quest’opposizione politica può aver di che lavorare, se contribuisse alle potenzialità di cambiamento positivo che fossero espresse da questo governo, e se si desse l’obiettivo di monitorare e frenare gli obiettivi rischi di deriva populista, e francamente di destra, che sono presenti nel contratto di governo. Rischi con riflessi importanti sulle istituzioni, come si è sperimentato nella dinamica della crisi di governo, con Lega e 5 Stelle, nei passaggi più tesi, tentati di muoversi come si fosse in regime presidenziale, con governo e i ministri sanciti nelle urne, già tesi renziana. Tesi sciagurata, perché le urne possono anche sancire direttamente chi governa, con nome cognome e seguito, ma questo lo si fa in regime presidenziale regolato da pesi e contrappesi, e non in modo surrettizio in base ai rapporti di forza di una congiuntura elettorale. Di tutto si può discutere, anche del cambio della forma di governo, ma lo si fa con procedure trasparenti e costituzionalmente garantite, cioè con lealtà verso gli italiani.

Questo per dire di uno dei temi su cui c’è materia di seria opposizione politica, con vantaggio di tutti.