L’esito piuttosto deludente di questo Consiglio europeo di fine giugno sui migranti crea la prima vera crepa nell’accordo di governo. Troppo pochi i risultati immediati e tangibili ottenuti, e la reazione scettica di Matteo Salvini, che dice di voler aspettare i fatti, sembra tanto una prenotazione di presa di distanza. Da esibire alla prima occasione, che non tarderà a manifestarsi, in cui risulterà evidente che il tanto atteso incontro di Bruxelles non ha dato luogo alla tanto attesa svolta.



L’Italia è riuscita nella doppia impresa di sfilarsi dalla catena di comando dell’Unione (nella quale la Spagna — con la modica solidarietà manifestata sul caso della nave Aquarius — si è decisamente inserita, al fianco di Germania e Francia), senza aprire nessun punto di contatto con l’asse di Visegrad, che sul piano ideologico punta ad aggregare sullo stesso fronte i Paesi euro-scettici. L’Italia, che presiede con Antonio Tajani il Parlamento europeo, e detiene con Federica Mogherini l’incarico chiave di Alto commissario, per non dire di Mario Draghi ai vertici della Bce, ha messo a dura prova la tenuta dell’Unione nella quale pure vanta tanti ruoli di responsabilità, restando alla fine a metà del guado. Le giuste istanze del nostro Paese, che rivendicava una maggiore solidarietà nella gestione del problema, non hanno ottenuto l’ascolto dovuto, e i pur notevoli passi avanti in termini di principio si scontrano con la volontarietà dell’adesione dei Paesi membri nella gestione dell’accoglienza e nella creazione di nuovi campi; con l’aleatoria speranza di collaborazione da parte dei paesi nordafricani nella creazione di centri di raccolta a prevenire le partenze e — soprattutto — con la permanenza delle regole di Dublino che lasciano ancora il peso degli sbarchi tutto in mano ai Paesi mediterranei, soprattutto all’Italia.



Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ne esce benissimo, perché le prime dichiarazioni, soprattutto da parte di Macron, hanno fatto subito intendere che non ci si deve fare illusioni, da parte nostra. Tuttavia, il premier potrebbe a questo punto volgere a suo vantaggio l’esito di questo vertice. Esito non positivo, ma almeno non drammatico. È un fatto che, dopo aver minacciato il veto e di far saltare clamorosamente il vertice, il nostro capo del governo abbia scelto alla fine di non far mancare la sua solidarietà alla traballante e coraggiosa leadership di Angela Merkel, mantenendo un impegno preso anche con il presidente Mattarella di lavorare a cambiare le regole dell’Europa, non a farla saltare. 



Questa scelta, leggermente impopolare sul piano interno, potrebbe rafforzare il suo ruolo, ora. Un Conte “de-Salvinizzato” potrebbe far valere da ora in poi, di più, il suo ruolo di garanzia della collegialità del governo e di responsabilità in seno ai consessi internazionali. Una posizione che potrebbe giovare all’azionista di maggioranza del governo, il M5s, in evidente imbarazzo per gli eccessi salviniani sull’immigrazione e invece interessato a mantenere vivo un asse con Merkel e con Mattarella, mentre Salvini non fa mistero di guardare soprattutto a Putin, al di là delle parole di formale adesione alla Ue. Il leader della Lega, d’altronde, al di là dei successi tattici in chiave interna, vede le sue istanze totalmente isolate in Europa, dato che i paesi ideologicamente a lui più vicini, quelli dell’Est, sono i più restii a dare una mano al nostro Paese in difficoltà.

I prossimi mesi diranno se questo riposizionamento di Conte sarà adeguatamente spalleggiato da Di Maio e se il fronte di M5s con Salvini si andrà a comporre o a ingrossarsi. Le incertezze sono tante, e più dell’immigrazione ora pesano le incognite di bilancio. Salvini già ha detto che i 9 miliardi della manovra correttiva da reperire secondo Confindustria sono una “fantasia”, ma è probabile che il ministro Tria non sia altrettanto disposto ad aprire uno scontro con Bruxelles sui conti pubblici. Sullo sfondo ci sono anche i 12 miliardi da reperire per sterilizzare l’aumento dell’Iva. E anche le sanzioni alla Russia riconfermate senza neanche combattere, all’ultimo punto dell’accordo, sono certamente un altro boccone amaro da ingerire per il leader della Lega nei confronti del capo del governo. Insomma, dopo i giorni della propaganda, per il governo si entra nel vivo. E presto si saprà se questo esperimento giallo-verde è destinato a durare o meno.