E’ bene dire sin da subito che l’unica speranza di sopravvivenza che questo governo possiede è quella di impugnare sin dall’inizio la bandiera di ciò che potremmo chiamare un “patriottismo laburista”. Ossia di iniziare con una “mossa del cavallo”. Ne parlava Viktor Borisovic Šklovskij, indimenticabile intellettuale del formalismo russo falcidiato da Stalin. Muoversi con “la mossa del cavallo” è agire su due fronti, nel nostro caso interno e internazionale, provocando quella dissonanza cognitiva che ti fa vincere ogni partita di scacchi e quindi anche ogni battaglia politica.



Il nuovo governo sin da subito deve iniziare la negoziazione dei trattati europei. La Francia si è fatta avanti con la telefonata di Macron a Conte. Una mossa anti-tedesca: certamente non bisogna però farsi illusioni e saper sempre che la Francia ha mire annessionistiche sull’Italia in campo economico, come dimostra la storia recente e recentissima.



Ma il governo ha un alleato prezioso contro l’austerity teutonica dell’ordoliberalismo. Gli Usa prima di tutto, non lo si dimentichi mai. L’Alleanza atlantica è l’architrave della politica italiana e deve rimanerlo, agendo con intelligenza, come sempre storicamente si è fatto, per conservare tuttavia una sorta di limitata autonomia nei rapporti con la Russia al di là delle attuali, transitorie, posizioni americane, seguitando, così, con la politica estera che si perseguiva nella Guerra fredda, anche nei momenti più bui come la guerra del Vietnam e il conflitto tra Israele e le organizzazioni palestinesi e come si sta oggi verificando con la posizione degli Usa su Gerusalemme. Va poi considerato che non vi è mai stato un punto di flessione così acuto nelle relazioni tra Usa e Germania come si sta in questi mesi verificando, a partire dal diesel gate per finire con il confronto sui dazi e e sul commercio estero in corso a livello mondiale.



L’Italia può e deve dire la sua con due esponenti di spicco come Savona e Moavero Milanesi proprio sui temi che interessano in primo luogo i tedeschi e i francesi. Roma deve parlare a voce chiara e distinta con la cancelliere Merkel e la figura oggi più importante della politica tedesca: il ministro degli Interni Horst Seehofer, capo storico della Csu. Rinegoziare il Fiscal compact, che non è nei trattati ma nei regolamenti, è possibile e si deve farlo subito, iniziando con contatti continui con Germania e Francia.

Le ragioni sono evidenti. Nessun punto del programma “socialdemocratico” del governo Conte — eliminazione della legge Fornero, reddito di cittadinanza imperniato sull’agenzia del lavoro per far incontrare domanda e offerta e sulla qualificazione dei precari e dei disoccupati con offerte di lavoro non rifiutabili, riformulazione del carico fiscale con flat tax per le imprese e mantenimento della progressività dell’imposta sui redditi da lavoro (questa, per inciso, è la mia posizione sul tema: la difesa della nuova borghesia nazionale imperniata sull’impresa artigiana e piccola e media e del suo proletariato che vive l’impresa come comunità è il compito essenziale) — ebbene, nessuno dei punti qualificanti del governo Conte può reggersi con i vincoli di bilancio eurocratici esistenti, che debbono essere superati per creare crescita.

E’ e sarà una lotta con il tempo e l’arte della mediazione. La crescita può essere garantita, come ha affermato da sempre Pierluigi Ciocca, solo da una ripresa degli investimenti pubblici e privati, dall’edilizia alle nuove tecnologie. Non bisogna aver paura del progresso tecnico: è solo da esso che verrà l’occupazione sana, fondata sull’aumento dello stock di capitale e sulla ripresa della domanda interna, non dall’helicopter money e da vergognosi sgravi fiscali a pioggia.

Un’economia solo export lead ci uccide, noi e l’Europa.

E’ questo l’asse di intervento che ci consente di sopportare un aumento del debito come hanno fatto sempre Francia, Germania e Spagna nei momenti di flessione del ciclo, senza preoccupare l’oligopolio finanziario internazionale che già ha dimostrato di apprezzare positivamente più la stabilità politica dell’austerity, che è ormai vista come un peste anche dalle cuspidi finanziarie che sanno che la deflazione è la morte dei profitti.

Così si potrà costruire una rete di alleanze per superare il Trattato di Dublino e instaurare una politica dell’accoglienza dei migranti fondata sempre sulla misericordia ma nel contempo sull’assunzione, anzi, la riassunzione da parte dello Stato e nello Stato, delle politiche di sostenibilità migratoria. E’ questo che chiamo un “patriottismo laburista” che può unire e non dividere le due anime del governo, ferme restando le differenze strutturali nella meccanica dei partiti e dei movimenti.