Il governo “populista” M5S e Lega è salpato, con tutto quello che significa in termini di aspettativa. Per l’editorialista di Repubblica Stefano Folli il discorso inaugurale del premier al Senato ha mostrato un’ambizione che è più alta della qualità che rappresentano Lega e 5 Stelle: “Siamo davanti a una novità assoluta per quanto riguarda la politica estera, sia dal punto di vista politico che economico. La svolta verso la Russia, la rinegoziazione con l’Unione Europea sono tutte cose che però si possono fare se si ha la forza di farle: l’Italia con il debito pubblico che si ritrova e i conti pubblici che ha, non credo abbia questa forza”.



Folli, Conte in mezzo a Di Maio e Salvini. Come le è sembrato il premier al suo esordio? E’ un “precario” al lavoro, in attesa di essere promosso, corretto, rimandato a settembre?

Il suo discorso al Senato non è stato né migliore né peggiore di altri discorsi di suoi predecessori in circostanze analoghe. La differenza è che c’è una ambizione più alta della qualità dei protagonisti, il progetto di imporre una idea diversa dell’Italia in Europa, dello sviluppo economico, ambizione francamente molto alta, e il discorso non è stato all’altezza di questa ambizione. 



In che senso?

Alcune cose non sono particolarmente entusiasmanti e cioè dire che il credito si riduce con la crescita e basta. E’ un’idea opposta a quella prevalsa negli ultimi anni e per un paese che ha un debito pubblico enorme è una idea troppo ambiziosa.

Come vede il nuovo presidente del Consiglio in mezzo a Di Maio e Salvini? Secondo lei ha l’autorevolezza per imporsi?

C’è da essere molto scettici a questo proposito, sia per come è nato il governo, sia per il ruolo che i due partiti hanno avuto nella sua nomina. E poi Conte non ha esperienza e storia politica. Ma diamo tempo al tempo e vediamo se ci sorprenderà. Non è stato per nulla bello che si sia definito il garante del contratto, secondo la Costituzione un capo di governo è molto di più, è uno che dà impulso propulsivo e di sintesi, dire questo è un modo di autolimitarsi.



Nel suo ultimo editoriale lei richiamava l’attenzione su qualcosa di “non previsto” che sta accadendo intorno all’Italia nella sua politica estero-europea. Perché, quali sono i fattori più delicati?

Una delle cose su cui il governo è stato molto chiaro è la politica estera, la Russia di Putin, le sanzioni. Sono cose che se non sono solo parole per accattivarsi le aziende colpite dalle sanzioni significano un cambio di rotta interessante che si collega al dinamismo di Putin sul teatro europeo.

Ci spieghi meglio cosa significa “un cambio di rotta”.

Che l’Italia diventi uno dei paesi dell’accordo di Visegrad, con la loro intransigenza sul dossier migranti, è una novità assoluta. Vedremo se non è solo un modo di mandare dei messaggi per negoziare con Bruxelles. Per quanto riguarda l’uscita dall’euro, direi che anche Di Maio e Salvini hanno capito che è una cosa impossibile, una pura follia. Il problema è che le proposte di questo governo dovranno passare al vaglio dei mercati e lì si vedrà che peso hanno realmente.

Salvini rischia di essere un catalizzatore troppo precipitoso?

Politicamente è molto più strutturato di Di Maio, è in grado di mandare messaggi chiari anche se non necessariamente condivisibili, però sono messaggi netti. Questo è il suo asso, la sua debolezza invece è andare sopra le righe anche rispetto ai messaggi rivolti al suo elettorato. Quella sulla Tunisia è stata una gaffe madornale figlia di inesperienza. Salvini deve stare attento a non diventare un altro Renzi, che cominciò a sbagliare quando esagerò nelle promesse e nell’enfasi.

Chi soffre la presenza dell’altro? Di Maio e i 5 Stelle verso la Lega e Salvini o viceversa?

I 5 Stelle sono talmente contenti di essere al governo che sprizzano gioia da tutti i pori, la faccia di Di Maio durante il dibattito in Senato ci diceva che non soffrono affatto. In prospettiva Salvini ha più carte da giocare, è più capace e più scaltro per trarre il massimo vantaggio da un governo che comunque non sarà eterno.

Lei infatti ha paventato la rottura del contratto e dunque del governo, in un probabile scenario futuro. Perché?

Perché sono due mondi diversi, questo governo è nato da una convenienza per una serie di circostanze eccezionali. Non credo affatto ci sia un piano per una sorta di fusione delle forze populiste. Salvini vuole costruire una nuova destra, che va al di là della stagione di Berlusconi e impone un modo di pensare e fare politica che non si era mai sentito prima nella destra italiana. Non penso voglia mescolarsi con i 5 Stelle.

E i grillini invece?

Hanno meno carburante perché hanno dei temi di sinistra ma molto costosi e fuori tempo rispetto alla stagione che viviamo. Poi sono ancorati alla lotta alla casta politica, cosa che non può durare all’infinito. Sono meno in grado di affrontare le mille difficoltà di un governo.

Conte ha detto: “E’ legittima o no l’esigenza di un paese di rinegoziare le politiche economiche?” Lei cosa risponde a questa domanda?

Siamo sempre lì. Tutto è legittimo, bisogna vedere se si ha la forza per farlo. Se sei stritolato dai debiti come lo siamo noi non hai grande forza per rinegoziare, il prezzo da pagare sarebbe troppo alto. I mercati non sono un complotto contro l’Italia: anche noi abbiamo ricavato vantaggi dall’aiuto della Bce, dire rinegoziamo è una posizione da campagna elettorale.

Renzi e Berlusconi sono destinati a incontrarsi, a fare opposizione insieme e dunque a creare un soggetto politico nuovo? 

Non credo. Credo che sia un’illusione che si raccontano fra loro. Se Lega e M5s si fondono, a quel punto una fusione degli altri partiti d’opposizione potrebbe anche accadere, ma se non c’è un fronte populista non può esserci neanche una opposizione antipopulista. Un incontro tra sconfitti poi non porta molta fortuna. Il centrodestra non leghista, ma soprattutto il centrosinistra, sono all’anno zero: devono ripensare se stessi senza credere che otterranno un ritorno automatico di chi ha smesso di votarli.

(Paolo Vites)