E adesso? Adesso cominciano i problemi, quelli veri, quelli seri. Incassata la fiducia senza particolari problemi, l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte comincia la sua navigazione. E appena uscito dal porto rischia di trovare tempeste su tempeste. Persino l’equipaggio non è ancora completo, cosa piuttosto inusuale, visto che di regola la nomina dei sottosegretari e dei viceministri precede il primo passaggio parlamentare di ogni nuovo governo. Non è stato così, e il presidente del Consiglio è partito per il G7 in Canada lasciando dietro di sé i due partiti che formano la sua maggioranza intenti ad accapigliarsi sui posti da spartire. 



In teoria sembrerebbe tutto già scritto: circolano “pizzini” che assegnano venti sottosegretari al Movimento 5 Stelle (e cinque viceministri), e quindici alla Lega (oltre a tre vice). In pratica la quadra non si trova, e si interseca con la trattativa per la guida delle commissioni parlamentari permanenti, che sono quattordici in ciascuno dei due rami del parlamento. La logica della distribuzione dei posti vorrebbe che come forma di reciproca garanzia ci fosse una sorta di bilanciamento: un ministro grillino dovrebbe essere affiancato da un vice targato Carroccio e viceversa. 



Al dunque però un’operazione di ordinaria spartizione di potere (nella Prima Repubblica almeno) si sta rivelando un ostacolo insidioso, anche per via di alcuni ripensamenti, come l’intenzione manifestata da Di Maio di tenere in prima persona la delicata delega alle telecomunicazioni, che sembrava destinata a un leghista, anche come forma di rassicurazione nei confronti di Silvio Berlusconi. 

Risultato: un clima di sospetti reciproci che paralizza la partenza tanto dell’attività di governo, quanto dei lavori parlamentari, con le opposizioni che cominciano a manifestare chiari segnali di impazienza. Il Cencelli della Terza Repubblica ancora non è stato scritto, i contrasti di potere dell’oggi sembrano prefigurare scontri imminenti sui contenuti. 



Eppure di partire ci sarebbe fretta, uscire dalle dichiarazioni generiche e cominciare a fare sul serio. Ad esempio sull’Iva, che Di Maio assicura non aumenterà, senza dire dove verranno trovati i 12 miliardi necessari per sterilizzare le accise. Poi un elenco lunghissimo di cose da fare: discutere di dazi con Trump e gli altri leaders del G7, confrontarsi su tagli al bilancio e regole sui migranti in ambito europeo, conciliare filo-atlantismo e aperture alla Russia putiniana, valori per i nostri partners nella Nato difficilmente conciliabili. Il tutto sotto l’occhio severo e vigile di Mattarella, che non cessa di rintuzzare ogni fuga in avanti del governo, ieri con l’elogio della stabilità e del risparmio formulato dal palco del congresso delle Casse di Risparmio a Parma.

A oltre 90 giorni dal voto di marzo far partire la macchina della legislatura diventa sempre più urgente. In caso contrario l’apertura di credito dell’opinione pubblica potrebbe rapidamente trasformarsi in delusione cocente.