Laura Boldrini ha lasciato un alter ego alla Camera, il suo nome è Roberto Fico, il grillino che presiede l’assemblea di Montecitorio dopo la pasionaria libera e uguale. Dopo settimane di silenzio trattenuto a stento, ieri il numero 1 di Montecitorio è sbottato contro la linea del governo sulla questione migratoria. “Porti aperti”, ha detto Fico contro le reiterate chiusure prospettate da Matteo Salvini. Ieri mattina il presidente della Camera è volato a Pozzallo, uno dei maggiori centri di raccolta dei migranti, seguendo di pochi giorni la visita, inconcludente, del ministro dell’Interno in Libia, ma soprattutto dopo il tragico naufragio di un gommone nel Mediterraneo. Cento morti, bambini compresi. Se il suo pensiero non fosse chiaro, Fico ha aggiunto che “le Ong fanno un lavoro straordinario” e che “l’Italia non può tirarsi indietro”. Proprio una Ong ha apertamente puntato il dito contro il governo italiano, oltre che quello libico, accusando le Guardie costiere dei due Paesi di aver ignorato l’appello a soccorrere il gommone. La Boldrini non può proprio lamentarsi del suo successore.
Quelli che per Salvini sono clandestini da tenere lontani, per Fico e le Ong sono naufraghi da soccorrere. Un messaggio umanitario ma anche politico, perché il presidente di Montecitorio è la terza carica dello Stato ed è un autorevole esponente del maggiore azionista dell’esecutivo. Un dispaccio in bottiglia subito arrivato al principale destinatario, cioè il compagno di partito Luigi Di Maio. Il vicepremier ha fatto filtrare tutta la sua rabbia, facendo sapere che rispetta il pensiero di Fico ma la linea del governo resta un’altra. L’esecutivo è compatto perché, ragiona Di Maio (evidentemente imbeccato da Salvini), i porti sono chiusi soltanto per le Ong che non rispettano le regole.
Qualcosa si muove nel Movimento 5 stelle ed è la crescente insofferenza verso il ministro del Lavoro che sta trasformando una forza antisistema e protestataria in un’evanescente “vorrei ma non posso”. La decisa presa di posizione di Fico contro il governo sull’immigrazione segue l’accelerazione da lui stesso impressa sui tagli ai vitalizi. E segue la due giorni romana di Beppe Grillo, che ha dato in pasto a giornali e tv la boutade sui parlamentari estratti a sorte ma poi ha chiamato a rapporto Di Maio, Bonafede, Fico e Virginia Raggi. Ogni colloquio è una ferita aperta per il movimento: l’amministrazione della capitale, l’inchiesta sugli stadi e le tangenti (Bonafede è ministro della Giustizia), la debolezza di Di Maio nel reggere il confronto con Salvini, l’insofferenza dell’ala dura dei grillini verso la metamorfosi imposta dal cerchio magico di Casaleggio materializzatasi negli evanescenti ministri di questo governo, compreso il premier che ha festeggiato un presunto accordo europeo che in realtà non c’è.
Pur avendo il maggior numero di parlamentari e di rappresentanti di governo, l’anello debole della maggioranza sono proprio i 5 Stelle, ai quali lo strapotere mediatico di Salvini toglie l’ossigeno. L’altro giorno al Festival del lavoro di Milano il titolare del Viminale è arrivato a bacchettare pubblicamente “gli amici” grillini su due temi chiave: le infrastrutture, per le quali secondo Salvini “c’è bisogno di correre e lavorare”, e soprattutto la lotta al precariato prefigurata nel “decreto dignità” che Di Maio è stato costretto a ritirare “per non danneggiare gli interessi dei lavoratori e delle piccole imprese” che sarebbero costrette a tornare al nero per evitare i troppi vincoli. Oggi a Pontida la Lega mostrerà tutta la sua compattezza attorno al nuovo uomo forte dell’Italia. Invece i 5 Stelle arrancano in una palude dalla quale non riescono a uscire e che potrebbe anche paralizzarli.