L’autore è ignoto, ma l’aforisma “avere più poltrone che culi con cui coprirle”, nella sua volgarità, rende l’idea. E’ questo il felice problema con il quale stanno facendo i conti i governanti gialloverdi, alle prese con una stagione di nomine da ricco bottino che però da un lato li pone di fronte a un complicatissimo round di trattative e dall’altro li costringe appunto a reclutare — per far fronte all’abbondanza di posizioni da coprire — dei Carneadi dei quali sono i primi a fidarsi poco e niente.
Il Sole 24 Ore aveva calcolato “a caldo” che le cariche pubbliche da assegnare ammontano, per il governo grilloleghista, a ben 349 unità. Quelle squisitamente parlamentari — ministeri, sottosegretariati e viceministeri, presidenze di commissione — sono in fondo andate a posto abbastanza celermente: non foss’altro perché i papabili dovevano essere individuati tra i nuovi parlamentari. I dolori cominciano adesso, perché le prossime nomine sono politiche per designazione ma dovrebbero — dovrebbero — avere una qualche caratura tecnica per competenze. Figuriamoci.
In casa leghista una certa praticaccia ce l’hanno. Vero è che il grosso dell’esperienza lottizzatrice l’ha fatta la gestione Bossi con la lunga partecipazione “di lotta e di governo” agli esecutivi presieduti da Silvio Berlusconi, però la consistente esperienza amministrativa locale, in Lombardia, Veneto e Liguria, ha comunque permesso ai nipotini (ormai molto alla lontana) di Alberto da Giussano di archiviare un po’ di schede di pronto impiego, che si sono già rivelate utili nella scelta delle seconde linee di governo, per esempio quell’Edoardo Rixi che da sottosegretario del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti potrà far tesoro dell’esperienza maturata come assessore economico della giunta Toti in Liguria. Il deserto degli schedari pesa invece sulla rapidità di esecuzione dei grillini, che ad ogni “interpello” per una nomina sentono in cuor loro, anche se dissimulano, che gli sarebbe utile una bella ricerca di personale su quel web che tanto amano ma che invece, e purtroppo, alla bisogna non sovviene.
Per esempio, la scadenza fisiologica per la designazione dei consiglieri di nomina governativa alla Cassa depositi e prestiti tra i quali deve rientrare il nome del potente amministratore delegato è già scaduta e un accordo ancora non c’è. A fronte della designazione bulgara alla presidenza — che spetta alle Fondazioni bancarie — di Massimo Tononi, l’amministratore delegato dovrebbe farlo Marcello Sala, gradito alla Lega ma anche a Giuseppe Guzzetti, il potente capo delle Fondazioni che è però in scadenza da quella che guida, la Cariplo, e che gli dà titolo per dirigere l’orchestra. Visto che Tononi è già nomina sua, si chiedono i 5 Stelle, perché sia pur per interposta Lega dargli anche la seconda poltrona, quanto all’interno della Cassa c’è il bravo Fabrizio Palermo (che, per carità, potrebbe anche accontentarsi della direzione generale) e nella pubblica amministrazione milita pure il valido Dario Scannapieco? Sia Palermo che Scannapieco sarebbero preferiti dunque dai consigliori di Di Maio, più il primo che il secondo — oggi autorevole e attivo vicepresidente della Banca europea degli investimenti — che però è anche membro del comitato consultivo di Spencer Stuart Italia, primaria società di cacciatori di teste che il ministero utilizza proprio per selezionare i candidati alla Cassa.
Molta incertezza anche sul fronte Rai. Per la direzione generale si fanno i nomi di Andrea Castellari, già direttore generale di Discovery e oggi a Viacom; e di Fabrizio Salini, un altro dirigente televisivo stimato. Ma che spessore politico hanno queste persone? Che garanzie sono in grado di offrire ai loro nominanti? A sentire le fonti ufficiali dei due partiti di governo, queste sono domande da prima e seconda repubblica: ma circolano, eccome, nei vecchi corridoi del nuovo potere. Che peraltro verso i “tecnici” come lo stesso ministro dell’Economia Giovanni Tria un po’ di revulsione di pelle non mancano mai di mostrarla: tanto che il preferito di Tria per la carica, cruciale e vacante, di direttore generale del Tesoro, cioè Alessandro Rivera, sarebbe naufragata nelle ultime ore.
Si vedrà. Quel che invece già si vede è la mancanza di retroterra politico ma anche professionale della nuova classe dirigente uscita vincitrice dalle urne del 4 marzo. Non che le “squadre” dei governi precedenti, in nome della maggiore esperienza, abbiano saputo produrre chissà chi, in termini di nomenclatura e naturalmente “salvo ognuno”. Ma i grillini, in specie, sembrerebbero proprio non saper dove pescare.
Dieci, cento, mille “Conte”, dunque, si avviano a prendere quelle posizioni-chiave? Può essere. Del resto, all’eclissi — anzi al bradisismo — di una classe dirigente logoratasi dapprima nello scontro destra-sinistra e poi nel dissolversi di queste due categorie ideologico-militanti come le abbiamo finora conosciute, qualche danno di genere nuovo non poteva non produrlo.