L’invito ad abbassare i toni è durato meno di 48 ore. Si erano visti lunedì su pressante sollecitazione del capo leghista al Quirinale, e il sommesso suggerimento di mantenere uno stile più istituzionale aveva fatto capolino nel colloquio riservato con il presidente Mattarella. Il tema scottante rimane quello della gestione dei flussi migratori. Una questione che sta facendo salire la preoccupazione del Colle.
Mercoledì sera, ad appena 48 ore di distanza dal faccia a faccia con Salvini, Mattarella si è sentito in dovere di intervenire sulla vicenda della nave Diciotti e dei 67 migranti trasbordati dal rimorchiatore Vos Thalassa. Il Capo dello Stato ha chiamato il premier Conte per spronarlo ad esercitare il suo ruolo di presidente del Consiglio in modo da evitare che lo scontro fra i poteri dello Stato superasse il livello di guardia. Inconcepibile che il ministero dell’Interno impedisca l’attracco a una nave della Guardia costiera, emanazione del ministero delle Infrastrutture. Inconcepibile soprattutto invadere il campo della magistratura: non spetta al titolare del Viminale stabilire chi abbia commesso reati. E forse questo scontro, fra Salvini e la procura di Trapani, è stato quello che ha più preoccupato Mattarella.
Il suo intervento sul caso della nave Diciotti il Capo dello Stato avrebbe preferito che rimanesse confinato alla sua proverbiale moral suasion lontana dai riflettori, ma non è andata così. La notizia è uscita da fonti governative. Che si tratti di Palazzo Chigi o del Viminale non cambia la sostanza delle cose: era più semplice per Conte e Salvini che lo sblocco del caso dei 67 migranti venisse spiegato all’esterno con l’intervento di Mattarella piuttosto che con una scelta autonoma, di cui portare direttamente tutta la responsabilità politica.
Purtroppo al Quirinale stanno maturando la convinzione che il caso Diciotti è destinato a non rimanere isolato. Ogni nave, ogni barcone di disperati che solca il Mediterraneo rischia di diventare motivo di scontro con Malta e gli altri partners europei, che continuano a offrire all’Italia solidarietà solo a parole.
Mattarella preferirebbe un approccio più soft, più diplomatico, soprattutto nei rapporti internazionali. In fondo non manca occasione internazionale per richiamare i partners europei alla necessità di condividere con l’Italia il peso del flusso migratorio. Anche sull'”aiutiamoli a casa loro” le sue posizioni non sono poi così distanti dal capo leghista. In teoria ci sarebbero diversi elementi per un rapporto costruttivo, ma per volerlo bisogna essere in due.
Logico che al Quirinale si tenga d’occhio ogni segnale di tenuta del governo. E la debolezza del premier Conte non convince sin dall’inizio. E’ emersa chiara anche in questa puntata del tormentone migranti. Ma vi sono altri fattori sotto i riflettori, come le differenti sensibilità nel Movimento 5 Stelle proprio sulla questione migrazioni. Ma pure la scarsa coerenza dimostrata sul decreto dignità non rappresenta affatto un bel viatico per i prossimi mesi.
Dal Quirinale si è fatto sapere che si farà ogni sforzo, nell’ambito dei poteri attribuiti dalla Costituzione, per evitare sconquassi ai conti pubblici. Di conseguenza, tutta l’attenzione si concentrerà sulla legge di bilancio, il vero momento della verità per il governo giallo-verde. Non sarà facile per il ministro dell’Economia Tria vigilare sull’equilibrio delle finanze: ci sarà la richiesta di passi avanti verso il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei grillini, ma ci sarà anche la richiesta leghista di dare un segnale in materia di taglio delle tasse. Se non la flat tax, almeno un antipasto. Senza un alleggerimento della morsa del fisco l’esperienza leghista al governo sarebbe da considerarsi un fallimento.
Muoversi contemporaneamente verso il reddito di cittadinanza e l’alleggerimento delle tasse, però, costa. E l’Europa ha messo l’Italia nella lista dei sorvegliati speciali. La tenuta del governo, insomma, rischia di essere una questione di soldi, ancor più che non un problema di migranti da redistribuire.