Mattarella contro Salvini. Salvini contro Di Maio. Di Maio contro Tria. Di Maio e Salvini contro Boeri. Il “governo del cambiamento” mostra ogni giorno qualche nuovo assestamento, come avviene nei terremoti quando alle scosse più devastanti seguono quelle in cui la furia degli elementi si avvia a placarsi. Illusioni. Nel governo del cambiamento il sisma è permanente in uno scenario da assedio senza fine che in realtà piace ai capi dell’esecutivo. È un classico. Chi giunge in vetta giustifica la propria permanenza con il fatto che deve difendersi contro gli assalti dei nemici e degli invidiosi. Ogni occasione è giusta per gridare al complotto dei poteri forti o delle burocrazie nascoste che a loro volta devono continuare ad autoalimentarsi.
È una ruota che continua a girare. Matteo Salvini strepita contro l’Europa che non vuole i migranti prendendo a modello i Paesi dell’Est, ma questi, il cosiddetto gruppo di Visegrad, non possono vedere Salvini nemmeno in cartolina perché non vogliono correre nemmeno da lontano il rischio di accogliere uno straniero. Il premier della Repubblica Ceca, Andrej Babis, ha parlato chiaro: “Ho ricevuto una lettera del premier italiano Conte in cui chiede all’Ue di occuparsi di una parte dei 450 migranti ora in mare”, dice. E mentre Conte sui social network canta vittoria perché uno ne prende 100 e un altro 50, Babis taglia corto: “Un tale approccio è la strada per l’inferno”.
Ancora, Salvini se la prende con i magistrati perché cercano di fare chiarezza sui finanziamenti alla Lega e chiede sostegno a Mattarella. Al Quirinale si abbozza ma poi si fa in modo che da Palazzo Chigi parta l’ordine di aprire i porti per accogliere qualche nave di disperati. Chi cerca approdi e chi cerca sponde. E non sempre chi cerca trova.
Poi succede che Salvini, oltre che il ministro dell’Interno, il vicepremier e il premier ombra, voglia fare anche il ministro del Lavoro al posto di Giggino Di Maio e lanci un siluro via Facebook contro il presidente dell’Inps, Tito Boeri, considerato soltanto un filino meno dannoso di Elsa Fornero. L’invito è sobrio: Boeri dovrebbe dimettersi perché difende la legge Fornero, perché sostiene che i contributi degli immigrati servono a pagare un po’ di pensioni e — novità delle ultime ore — che il decreto Dignità crea disoccupazione.
Qui la faccenda s’intreccia con un altro conflitto istituzionale che vede ancora protagonista l’Inps da un lato e altri ministri, Di Maio e Giovanni Tria. Questo benedetto decreto è rimasto fermo quasi 15 giorni in un limbo tra il varo in Consiglio dei ministri e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale previa controfirma del Capo dello Stato. In questa fase il decreto è stato modificato, “manomesso” e bistrattato. I ministri ora dicono che nulla sapevano, che tra loro tutto fila liscio senza problemi, mentre Inps e Ragioneria dello Stato difendono i diritti dei conti pubblici (che poi sarebbero le tasche degli italiani) contro improvvisazioni e taglieggiamenti.
È un tutti contro tutti come nelle migliori mischie delle scuole elementari. Il polverone permanente è finora il filo rosso che lega le azioni del governo, che trova proprio in questi scontri un motivo di coesione, come in quelle palestre dove si insegna che lo scontro, il match, il corpo a corpo fortificano l’organismo e lo spirito di squadra. La politica come un ring: ecco il governo del cambiamento.