C’è un’aria di funerale per la sinistra in questi giorni in Italia. Per tentare di risuscitarla, aspiranti leader o volontari guru hanno proposto programmi, ricette e decaloghi.
Da lontano questi sforzi paiono quanto meno mal posti. In Cina, da vecchi marxisti, cioè già studenti di Smith e Ricardo, si pensa che le proposte debbano venire dopo l’analisi dei fatti, cosa che in Italia pare mancare.
Ma si impara di più dal disaccordo che dall’accordo. Quindi è grazie agli aspiranti leader di una sinistra che non c’è che proponiamo due tesi e una richiesta di ricerca.
Il problema principale è: si vuole rifare il Pd o si vuole rifare la sinistra? Le due cose sono diverse e occorre non confonderle. Dopo la prima divisione tutto è più semplice. Cominciamo.
Se si vuole rifare il Pd la soluzione è pronta. Marco Minniti ha fatto da ministro degli Interni, degli Esteri, della Difesa e da premier. Ha salvato l’Italia e la Ue, tanto è vero che questo governo di fatto applica le sue scelte. Alla fine del recente vertice della Ue in materia è il solo che ha l’autorevolezza di sindacare la posizione del governo. Ma il punto è proprio questo: oggi il governo fa scelte sulla politica degli emigranti e ne parla; quando Minniti era al governo non gli era data parola e oggi può solo dire “avevamo fatto bene”. Dunque perché non gli è stata data la guida del partito? Il Pd vuole salvarsi? Lo scelga come leader, gli dia tutto il potere e forse si salva. Se invece lo mette da parte, si condanna.
Non c’è altro da aggiungere. Se il Pd preferisce l’estinzione o inventarsi l’uomo sulla Luna pur di non dare a Minniti la guida del partito, ciò è dovuto a decenni di lotte fratricide, staliniane, che hanno dannato il vecchio Pci e il nuovo Pd. E la prova è che l’uomo che ha sempre battuto Silvio Berlusconi nelle elezioni, Romano Prodi, è stato vinto non dal suo rivale esterno, ma dai tanti nemici interni.
Veniamo ora alla sinistra. Ma Minniti non è “di sinistra”, è l’obiezione di alcuni nel Pd. Costoro però non si avvedono che il vecchio programma di sinistra (distribuire soldi ai poveri e toglierli ai ricchi) è stato preso di peso da M5s, con tutta la rozzezza e la ruvidezza dei primi movimenti di sinistra spontanei.
La verità però è che non ci sono più soldi da distribuire. I conti devono quadrare, lo capiscono i 5 Stelle e lo sanno anche quelli del Pd. Non c’è denaro per il reddito di cittadinanza, per le pensioni o altro. Inoltre una patrimoniale oggi, con l’Italia in questo stato, rischia di gelare tutto il processo produttivo e bloccare ogni sviluppo economico. Quindi si può fare solo “ammuina”, come ha fato il Pd e come sta facendo il M5s. Il resto è schiuma.
Ma una via d’uscita c’è. Se si vuole fare un partito nuovo, se questa è l’ambizione, allora, bisogna guardare come sempre all’antico. Il problema strutturale dell’Italia dal momento della sua vera unificazione, dalla spedizione dei mille di Garibaldi, è quello del Sud. Oggi i problemi lì sono una contraddizione apparentemente insolubile.
Quella parte del paese ha bisogno di infrastrutture per svilupparsi, strade e ferrovie, ma queste infrastrutture non possono essere costruite per non foraggiare la criminalità organizzata che domina quelle regioni. Senza sviluppo poi la criminalità cresce ulteriormente. Qui però c’è quasi la metà del paese, e la parte strategicamente più importante, quella che si protende verso il futuro, l’Africa e l’Asia. Abbandonare il sud significa abbandonare metà Italia alla delinquenza e dare spazio oggettivo ai criminali per invadere il resto della penisola e dell’Europa.
Chi vuole vincere le prossime elezioni contro il governo dovrebbe avere delle idee compiute su cosa fare nel Sud. Senza questo, il governo M5s-Lega potrebbe restare al potere per decenni. Per ora il governo infatti ha trovato un punto d’equilibrio: non parla troppo — come Renzi che ha nevrotizzato l’Italia con i suoi proclami —, ma nemmeno si limita a tacere, come Gentiloni e Minniti, che hanno dato l’impressione dell’inazione.
La tentazione di Salvini, in campagna elettorale permanente, potrebbe essere quella di scadere nel renzismo, fatto di battute e dichiarazioni a cascata. Se riuscirà a tacere tre volte su quattro, semplicemente per mancanza di alternative, l’Italia sarà sua.