“In Italia, il finanziamento illegale della politica non è di certo un fenomeno nato e vissuto solo negli anni 80 e seguenti. Eppure c’è chi, a digiuno di storia e navigando nella mistificazione, ne parla come se di questo si sia trattato. Tutto al contrario questo fenomeno accompagna addirittura la storia nazionale dall’unità d’Italia in poi”. 



Bettino Craxi cominciò in questo modo, con questa frase, nel 1999, un memoriale su “Tangentopoli” che avrebbe dovuto essere consegnato e discusso da un’apposita Commissione d’inchiesta su quello che era avvenuto con “Mani pulite” all’inizio degli anni Novanta e che aveva letteralmente squassato la politica italiana, cancellando cinque partiti, quelli che avevano assicurato la tenuta democratica del Paese e ne avevano favorito lo sviluppo economico, lasciando in eredità alla cosiddetta “seconda repubblica”, che doveva affermarsi all’insegna di “onestà, trasparenza ed efficienza”, un nuovo corso politico basato su una magistratura interventista, un partito comunista che si era prontamente trasformato in post-comunista, una destra che aveva antenati fascisti e un gruppo di sinistra cattolica che per anni ballonzolava da una parte e dall’altra del sistema politico italiano. Questa era la nuova classe dirigente nazionale.



Trascuriamo i numeri dei suicidi, degli indagati, degli imputati imprigionati con carcere preventivo e poi assolti, dei coinvolti in quell’inchiesta nata di colpo nella Procura della Repubblica di Milano e poi allargatasi in tutta Italia. Più o meno, tra politici a tutti i livelli, manager pubblici, uomini del mondo economico e finanziario, furono travolte circa 20mila persone e alla fine ne furono condannate circa un migliaio. 

Ma i “manovratori” ottennero un risultato incredibile: Craxi divenne il simbolo della corruzione politica, fu letteralmente demonizzato e fu così cancellato l’ultimo tentativo del riformismo italiano, sempre condannato, soprattutto a sinistra. Con Craxi uscirono di scena il quartier generale democristiano, quello socialdemocratico, quello repubblicano e quello liberale. 



Accanto agli eroi della Procura di Milano si facevano spazio Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Achille Occhetto, Walter Veltroni, Massimo D’Alema e un discusso presidente dell’Iri (che nel frattempo veniva smantellata e svenduta), il professor Romano Prodi.

Il memoriale scritto da Craxi nel 1999 è quasi sconosciuto, perché non è stato mai divulgato dalla “grande stampa” italiana, che ha sempre fatto la storia al contrario. Le 24 pagine di questo scritto del 1999 restano nelle stanze della Fondazione Craxi, come una testimonianza straordinaria da studiare e da meditare. 

Le pagine del memoriale sono state stampate solo da un giornale di nicchia, Il dubbio, per merito del suo direttore, un grande giornalista come Piero Sansonetti, all’inizio del 2017. Nessun altro giornale, di grande visibilità e nessuna trasmissione televisiva, ha mai affrontato il problema di quello che Craxi aveva scritto e nessuno ha mai cercato persino di farvi un cenno, di polemizzare o al limite di stroncare quello che il leader del Psi, morto in Tunisia, aveva scritto.

Questa è già una sorpresa. Ma le sorprese, in tutta questa intricata vicenda che ha cambiato la storia d’Italia, non finiscono qui. Il memoriale era stato scritto con precisa puntualità e Craxi ampliava ulteriormente, con altre considerazioni più dettagliate, i tre interventi fatti alla Camera dei deputati, dove aveva dichiarato apertamente che gran parte del finanziamento ai partiti era stato, per tutti, illegale, che bisognava cambiare sistema nel nuovo contesto storico del dopo-guerra fredda, ma che non si poteva criminalizzare schematicamente e sbrigativamente il passato. C’era nel memoriale un invito a ragionare sul contesto di un dopoguerra durissimo, dove comunque l’Italia era diventata una grande potenza industriale e nello stesso tempo aveva un ruolo geopolitico importante, un ruolo di cerniera e di barriera tra democrazia occidentale e impero comunista, tra l’Occidente e l’Est.

In sostanza, il memoriale dell’uomo più demonizzato da Tangentopoli era fatto per aprire una grande discussione in una commissione d’inchiesta. Ecco l’altra grande sorpresa: quella commissione non si fece mai, né alla fine degli anni Novanta, né durante la grande crisi istituzionale di un bipartitismo sbilenco e immaginario, oltre alla crisi economica e finanziaria mondiale che ha particolarmente impoverito l’Italia. 

E neppure adesso c’è chi pensa a un momento di grande riflessione generale. Dovremmo essere entrati nella “terza repubblica”, mentre si parla di una corruzione ancora più sfacciata, con la politica attaccata da tutte le parti e con forze alternative e nuoviste che gridano sempre “onestà, onestà”. Ma politicamente, al posto di limitarsi ad accusare, perché nessuno cerca di scavare nella storia italiana e comprendere la storia reale di questo Paese? Che cosa c’è: paura di scoprire la verità? Dove sono i famosi storici italiani e i commentatori dei giornali-istituzione?

In realtà, il fatto di non aver neppure assolto a un compito, anche solo formale, di creare una commissione d’inchiesta parlamentare, all’acqua di rose, rivela che c’era (come ancora esiste) quasi il terrore, la grande paura di scoprire che Tangentopoli poteva essere funzionale alla deindustrializzazione italiana (si pensi alle privatizzazione e alle svendite dell’industria pubblica), alla complessiva emarginazione e demonizzazione della politica, lasciando così spazio libero a grandi poteri internazionali e nazionali, nella svolta che si preparava dopo la caduta del Muro di Berlino e l’implosione del comunismo sovietico.

Sarebbe saltata fuori la funzione piuttosto anomala delle procure italiane in un ordinamento giuridico democratico occidentale, con il permesso ai pubblici ministeri di andare persino a fare comizi alla televisione di Stato; sarebbero saltate fuori le responsabilità dei cosiddetti “capitani di sventura”, i grandi industriali italiani, malati di un opportunismo cronico e pure padroni dei giornali che formavano l’opinione pubblica e già si erano convertiti al “nuovo che avanza”; sarebbe emersa l’ipocrisia dei politici che si erano salvati dallo tsunami di “Mani pulite”; sarebbe infine venuto a galla il ruolo che alcuni partiti come il Pci avevano svolto durante il periodo della guerra fredda.

Tutti sapevano tutto e bastava poco a ricordarlo. Scrive Craxi nella prima parte del memoriale: “L’industria di Stato, l’industria privata, i gruppi economici e finanziari, il movimento cooperativo, le associazioni che univano grandi categorie della produzione, della distribuzione e dei servizi, singoli, gruppi e società hanno tutti nell’insieme concorso al finanziamento della politica e del personale politico, ed a seconda dei casi, in forma stabile, in forma periodica, in occasioni di campagne elettorali in modo diretto e indiretto”. Poi continuava: “E’ così capitato che il movimento cooperativo rosso per esempio sia diventato uno dei principali agenti organizzatori e trasmettitori di finanziamenti in forma regolare e costante al Pci. Ciò avveniva soprattutto in certe regioni ma anche su scala nazionale, tanto al Nord che al Centro che al Sud”.

Ma il Pci non aveva solo quel finanziatore nazionale. Scrive Craxi pensando allo scontro tra Usa e Urss: “Dei finanziamenti provenienti dall’Urss e dal blocco sovietico ha beneficiato soprattutto il Partito comunista italiano. Ne ha sempre beneficiato sin dalla sua origine e via via attraverso le fasi travagliate della sua storia, sino agli anni più recenti e cioè sino alla caduta dell’impero sovietico e alla fine del potere comunista nell’Urss”. Craxi aggiungeva: “In materia di finanziamento estero il Pci, divenuto poi Pds, a differenza degli altri Partiti, aveva organizzato una vera e propria struttura permanente che nel corso dei decenni si è venuta costantemente ampliando e perfezionando sì da garantire dei flussi di finanziamento costanti che rappresentavano una parte certamente rilevante delle sue entrate. Il potere sovietico, anche nei momenti di incomprensione e di difficoltà nei suoi rapporti con il Pci e le sue elaborazioni politiche, sia pure diffidandone, ha sempre continuato a considerare il Partito comunista italiano come il suo principale alleato occidentale”.

Formalmente era un finanziamento non solo illecito, ma anche proveniente dallo storico “nemico dell’Occidente” durante la guerra fredda. Tutti sapevano: magistrati, giornalisti, uomini politici, imprenditori. Una stranezza (diciamo così) durata fino al 1992, tutta da decifrare. 

(1 – continua)