Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella madre di tutte le battaglie per il governo Conte. Una battaglia “o la va, o la spacca”. O — se volete — per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde.



I due partiti che formano la maggioranza hanno la stessa necessità: dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti. Per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la flat tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori. 



Il problema dei problemi è però che di soldi a disposizione ce ne sono davvero pochini. Trovare un equilibrio che consenta a tutti e due i contraenti di poter dare segnali positivi, almeno parziali, al proprio elettorato non sarà affatto facile. Nel mirino è il titolare dell’Economia, Giovanni Tria, cui spetterà di sicuro l’ingrato compito di trasformarsi nel “signor no” della spesa pubblica. Segnali in questa direzione se ne sono già registrati tantissimi. Sono soprattutto i grillini ad adombrare un Tria nemico, arcigno guardiano dei conti pubblici, in nome e per conto di Mario Draghi, e con la benedizione del Quirinale.



Il ministro Tria ha preparato la trincea per la battaglia che lo aspetta proprio nello scontro di questi giorni sulle nomine. In cambio del via libera a Francesco Palermo alla guida della Cassa Depositi e Prestiti ha incassato la blindatura del dicastero di via XX Settembre con la nomina di Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro, che si affianca alla permanenza di Daniele Franco alla Ragioneria generale dello Stato. 

In questa fase la Lega ha svolto con Giorgetti un ruolo sostanzialmente di mediazione, ma non è che il Carroccio abbia il desiderio di fare esclusivamente il donatore di sangue. Il bilanciamento della nomina di Palermo potrebbe avvenire sulle Ferrovie, ma anche sulla presidenza della Rai. E non va trascurato il desiderio del Carroccio di poter contare su un vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura amico, come contraltare del ministro della Giustizia pentastellato.

La partita delle nomine non è affatto chiusa, quindi, anzi è destinata a durare tutto l’autunno, in parallelo alla discussione della legge di bilancio. Il clima in cui avverrà lo ha descritto con una punta di crudezza Luigi Di Maio: “C’è da lavorare nell’ottica di una legge che deve essere coraggiosa e non che tiri a campare”. Il vicepremier grillino ha detto a chiare lettere che questo comporta anche l’avvio della ridiscussione dei parametri economici a livello europeo, anche perché faceva parte del programma sia della Lega che di M5s. 

La prospettiva è quindi di un autunno caldo sul fronte parlamentare. Ce n’è abbastanza per far crescere il livello di ansia dalle parti del Quirinale. E di certo delle prospettive dei prossimi mesi si è parlato nel lungo colloquio (oltre un’ora) che a sorpresa il premier Conte ha avuto con il presidente della Repubblica Mattarella. E’ a lui che Mattarella guarda come l’unico che può riuscire a tenere insieme le dispendiose richieste dei due partiti di governo e le necessità di tenere i conti pubblici in equilibrio.

Il rischio di strappi è concreto: nel caso della Cassa Depositi e Prestiti ci si è andati vicino. Giovanni Tria ha rischiato di fare la fine di Renato Ruggiero, ministro tecnico degli Esteri del governo Berlusconi, costretto a lasciare per incompatibilità. Lo ha capito lo stesso Giorgetti, proconosole di Matteo Salvini in tutte le trattative sulle nomine: è bene non tirare troppo la corda, perché potrebbe spezzarsi per davvero. Le dimissioni di Tria, se mai ci si dovesse arrivare, sarebbero un colpo davvero troppo duro da sopportare per il governo.