Orazio Nelson, l’eroe di Trafalgar, iniziò la sua carriera sulla nave comandata dallo zio materno: un bell’esempio di nepotismo. La raccomandazione affonda le sue radici nell’insicurezza umana, e nel bisogno di chi comanda di essere certo, nei limiti del possibile, dell’idoneità di coloro che sceglie come collaboratori allo svolgimento degli incarichi che intende affidargli, certezza che nessun curriculum può dare meglio della testimonianza di una persona già considerata, comprovabilmente, affidabile dal decisore che attesti l’affidabilità del nuovo entrante.



Su questi presupposti logici, la politica italiana ha da sempre costruito quel sistema di cooptazioni non-meritocratiche che Vittorio Gorresio, grande giornalista e storico degli Anni Trenta, apparentò senza mezzi termini alla massoneria e alla mafia.

Contro questo sistema i grillini hanno tuonato per anni, durante la loro marcia verso il potere. Ed oggi che lo hanno conquistato è normale che ogni loro nomina venga illuminata senza pietà nei più piccoli risvolti per ritrovarvi le tracce di quel metodo che deprecavano.



Per questo le nomine fatte e quelle da fare – d’intesa con il loro partner nella maggioranza di governo – sono già state ampiamente biasimate sia dall’opposizione, com’era ovvio che fosse, sia da una fetta di opinione pubblica non schierata, che osserva senza fidarsi ed è pronta a bollare d’infamia chi prometteva palingenesi e purezza e sembra oggi dimostrare gli stessi vizi di coloro che ha sostituito.

Ma forse è presto per spacciare sentenze. La mediazione tra punti di vista opposti, nella scelta di uomini-chiave nella gestione di uffici importanti nel mondo pubblico è inevitabile e sana, non patologica: se a rivestire cariche governative a valle dell’esito elettorale del 4 marzo e delle successive trattative politiche sono i pentastellati e i leghisti, è ovvio che abbiano pensato e pensino a nomi diversi per la Cassa depositi e prestiti, le direzioni generali dei ministeri, la Rai. Ed è anche ovvio che trattino su come individuare soluzioni che tengano conto delle indicazioni di tutte le parti in gioco. Si chiama “lottizzazione”? Comunque si chiami, è l’unica strada per dare ai criteri democratici con cui, piaccia o meno, è stato costituito questo improbabile governo l’esito operativo possibile in questo campo.



Poi, certo: non è un bel vedere. Poi, certo, nel migliore dei mondi possibili sarebbe stato più bello se il premier Conte e i suoi due vice, magari tenendosi per mano e davanti alle telecamere, a reti unificate, avessero annunciato coralmente un elenco di nomine eccellenti, di nomi indiscutibili, al di sopra di ogni parte e titolari dei migliori curricula del mondo. Sarebbe stato bello, ma anche assurdo, inverosimile, se si pensa che perfino nei Paesi anglosassoni, come Stati Uniti e Gran Bretagna – culle di democrazia almeno quanto l’Italia, dalla Magna Carta alla Dichiarazione d’Indipendenza – hanno inventato l’istituto dello spoil system, in base al quale tutti i vertici di ministeri e istituzioni pubbliche fatalmente lasciano gli incarichi e vengono sostituiti ad ogni cambio di indirizzo politico.

Ha colpito nel segno, però, Sabino Cassese – insigne costituzionalista – nel lamentare che il governo del cambiamento non ha saputo e voluto varare procedure trasparenti e potenzialmente più meritocratiche nell’individuazione dei papabili per le nomine già fatte, contrariamente a quanto accaduto in altri Paesi europei nel recente passato: stupisce, ha scritto Cassese sul Corriere, che le forze di governo “non abbiano prima stabilito procedure di nomina, stabilito i criteri, fatto un bando, richiesto di rendere pubblici i curricula, formato una commissione indipendente, motivato la decisione. Insomma, a prescindere dalle scelte compiute, in taluni casi di sicura qualità tecnica vista la provenienza interna all’azienda, non si è usciti da una procedura opaca. Per fare solo un paragone, si pensi a come è stato scelto l’ultimo governatore della Banca d’Inghilterra, con un recruitment process preceduto da un bando, richieste di interessati, nomina di una commissione indipendente, esame da parte di questa dei vari candidati. Questo è un modo per procedere alla luce del sole”.

Sì, certo: alla luce del sole nella Città del Sole, l’Utopico regno della perfezione civica vagheggiato da Tommaso Campanella.

Disse Achille Starace, segretario del Partito nazionale fascista, nel 1933: “E’ superfluo rinnovare il tentativo di sradicare il costume della raccomandazione, anche perché, alla fin fine, quando le raccomandazioni sono fatte a scopo di disinteressata assistenza, nulla vieta che siano accolte ed esaminate benevolmente”.

Una legittimazione che suona oggi come un marchio d’infamia.

Ma le prime nomine importanti fatte dal governo gialloverde, pur dopo faticose mediazioni, sono poi peggiori – per metodologia e merito – di quelle fatte da Gentiloni, da Renzi, Letta, Monti e prima di essi dagli ultimi governi “politici”? Per ora, non ci sono ragioni per affermarlo. La Caporetto sarà, come sempre, la Rai: e già sul nome del nuovo presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, Alberto Barachini – ex giornalista Mediaset – si è scatenato il putiferio. Ma d’altronde in Italia chi s’intende di televisione non può che essere transitato o da Mediaset, e dunque essere probabilmente berlusconiano, o dalla Rai, e dunque essere già stato almeno una volta sostenuto da una parte politica, o al limite da La7 o ancora da qualche grande emittente di seconda fascia, comunque vicina in ogni caso a questa o a quella forza politica. Non si scappa: o si assumono marziani, o si lottizza. 

E l’obiezione di Cassese? Giuridicamente sacrosanta, pragmaticamente inattuata e inattuabile. E va detto: non sono le procedure a poter impedire le lottizzazioni, in un Paese che è riuscito ad inquinare persino le gare europee gestite in modalità digitale dalla Consip.

Diceva Mao: “Non importa che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che prenda i topi”. Quindi: vediamo se i nuovi lottizzati saranno capaci di prendere i topi. E smettiamo di credere alla favole e alla politica della pura “onestà, onestà!”. Una purezza assoluta non s’è mai vista, all’ombra dei palazzi del potere.