“Alla Rai oggi diamo il via a una vera rivoluzione culturale”. (Luigi di Maio). “M5s e Lega si spartiscono la Rai” (Il Foglio). Non si aggiunge altro, perché al vostro vecchio Yoda già cascano le braccia. Se già alle 5 del pomeriggio di ieri i più diversi siti traboccavano di ricostruzioni, retroscena, analisi, oggi i giornaloni della carta stampata dedicano assai ampi spazi alla conclusione di una faccenduola come la scelta di presidente e amministratore delegato della Rai, che è poi solo un tassello di un mosaico assai più ampio: quello delle nomine ai vertici delle società pubbliche. Di Maio parla di rivoluzione culturale, ma quello che succede a proposito di tutte queste nomine è evidentemente nel segno della totale continuità di comportamento delle precedenti maggioranze al governo: la corsa all’acchiappare i posti che contano, da cui si controllano soldi pubblici, appalti, informazione, corsa determinata e persino spietata.
I continui lunghi vertici diurni e notturni testimoniano quanto sia difficile comporre il puzzle e soddisfare i rispettivi appetiti dei componenti del governo Frankenstein, come è stato definito l’esecutivo presieduto (si fa per dire) da Conte. Può avvenire così che a causa degli scambi qualche nomina sia una mera risulta della composizione di altre partite ritenute più importanti. Al momento in cui Yoda sta scrivendo, la maggiore attenzione dei media pare concentrarsi sul giornalista indicato come futuro presidente della Rai, Marcello Foa. Indiscutibile professionista, allievo di Montanelli, molti notano quanto siano stretti i suoi rapporti sia con la Lega che con i 5 Stelle. L’Espresso lo accusa di essere un dichiarato “sovranista”, persino il mite Gentiloni si lascia ad andare ad un caustico commento: “Ora usciremo dall’Eurovisione?” Scatenato il segretario del Pd Martina: “Pronti a opposizione durissima”. “Foa – sottolinea su Facebook il deputato dem Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza Rai – è un fedelissimo di Salvini, mentre Salini è stato l’ad de La7 nel momento in cui la tv di Cairo si è trasformata in un lungo talk show filo M5s contro Renzi e il Pd. Vogliono asservire il servizio pubblico alla loro lottizzazione selvaggia”.
Ma da che pulpito viene la predica, pensa il vostro Yoda. Già, Salini. Tutti si concentrano sul futuro presidente, che non avrà alcun potere sostanziale, come gli altri consiglieri del resto, e poi riportano il curriculum del futuro amministratore delegato definendolo un grande esperto di tv. Omettendo il fatto che a un’attenta osservazione i posti da lui occupati o non sono durati molto (un anno qui, un anno là) o – per parlare dell’incarico più lungo (dal 2003 al 2011 vice president of entertainment channels di Fox International Channels Italy) – basta dire che nelle multinazionali la qualifica di “vice president” significa assai poco, e non la si nega a nessuno. Davvero modesto l’ultimo incarico, quello di direttore generale di una piccola società di produzione di contenuti video per media e aziende, la Stand By Me di Simona Ercolani (giusto da un annetto…), che è stata la regista della prima Leopolda.
Ohibò, che c’entrerà Renzi? Se c’entra, prima o poi lo scopriremo. Intanto scopriamo che i massimi poteri dell’azienda di servizio pubblico li avrà un manager dal curriculum piuttosto esile, apparentemente “lontano dalla politica” come scrive l’Huffington Post, ma evidentemente assai vicino a Di Maio. In questo, può darsi che abbia ragione il querulo Anzaldi del Pd, membro però di un partito che in quanto a occupazioni di posti potrebbe dare lezioni a chiunque.
Non si può fare a meno di notare, da ultimo, come i nomi altisonanti tipo Gabanelli, Minoli, Freccero… siano spariti in un attimo dal radar. Troppo autonomi. Meglio fidarsi dei fidati, evidentemente. Analizzando, ora che è completo, le appartenenze dei neo consiglieri Rai, si può notare che i partiti ci sono tutti, almeno quelli con un minimo peso politico. Quindi? A Yoda non rimane che citare il Gattopardo di Tommasi di Lampedusa: “Tutto cambia perché nulla cambi”. Questo pare essere il vero segno del governo del cambiamento.