Se si potesse paragonare il percorso del governo al Giro d’Italia di ciclismo, l’appuntamento di mercoledì nella commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai sarebbe il primo tappone dolomitico. Una prova terribile, visto che prevede una salita che nemmeno il Mortirolo, o lo Zoncolan. Per gli appassionati delle due ruote sono nomi mitici, di percorsi spaccagambe, dove si vede di che pasta è fatto un ciclista. 



Per la squadra gialloverde che detiene la maglia rosa della politica il passaggio è insidiosissimo: servono i due terzi dei voti per confermare la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai, e le squadre avversarie sembrano coalizzarsi per far cadere i battistrada. Grillini e leghisti hanno 21 voti, ma ne servono 27. Quelli che mancano solo Forza Italia può fornirli, ma al momento il partito di Berlusconi ha annunciato di volersi mettere di traverso, sommando il suo no a quelli — scontati — di Pd e Leu. Non si tratta di una decisione definitiva, ma le critiche sono pesanti, sia nel merito che nel metodo. 



“Faremo una riflessione”, annuncia la capogruppo azzurra alla Camera, Maria Stella Gelmini. Ma la sua intenzione di cercare una figura terza non lascia presagire nulla di buono. Salvini e Di Maio, infatti, non possono permettersi un ripensamento senza pesanti conseguenze politiche: la bocciatura di Foa costituirebbe un problema molto serio. 

Più che le dichiarazioni “sovraniste” del presidente designato, pesa l’assenza di dialogo fra il governo e le opposizioni. Pentastellati e uomini del Carroccio intendono rendere al Pd la pariglia della selvaggia occupazione del potere catodico avvenuta negli anni renziani, ma devono scontrarsi con la dura realtà dei numeri previsti dalla nuova legge sulla Rai, alla sua prima applicazione. E allora tutto diventa oggetto di polemica, come le critiche di Foa al presidente Mattarella. 



Comunque vada la battaglia per il controllo del Cavallo di Viale Mazzini, non sarà altro che la prima difficile salita che attende il governo da qui a fine anno. La successiva sarà la discussione in parlamento del contestatissimo decreto dignità, in cui i grillini vogliono manifestare la presenza anche dei loro temi chiave al governo, accanto alla lotta all’immigrazione clandestina che Salvini conduce con foga. 

La lotta per far prevalere le proprie priorità programmatiche sembra essere destinata a proseguire senza esclusione di colpi, comprese armi di distrazioni di massa, come la poco felice uscita di Toninelli e Di Maio sulla disdetta del leasing per il cosiddetto Air Force Renzi, il jet per il lungo raggio preso in affitto da Ethiad. Nessuno nega che sia stato un pessimo affare per l’Italia, ma affermare che è sempre stato ricoverato in un hangar e mai utilizzato si scontra con la realtà dei fatti. 

Insidiosa materia di scontro saranno le grandi opere, come l’alta velocità Italia-Francia, il Tav, o il gasdotto dall’Azerbaijan alla Puglia, il Tap. L’ostilità grillina a questi progetti rischia di scontrarsi frontalmente con il favore leghista. E soprattutto con colossali penali da pagare, che sarebbero un danno per tutto il paese.

Tutti i nodi rischiano di venire al pettine poi nel momento in cui si andrà a discutere la legge di bilancio. Da una parte le esigenze di non scostarsi troppo dai vincoli europei, dall’altra promesse elettorali molto onerose, come reddito di cittadinanza e flat tax. Che in autunno si giocherà una partita decisiva per l’esistenza stessa del governo è chiaro a tutti. 

Spicca in questo contesto la lucidità del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, la mente più fine della Lega salviniana. Annusando l’aria di un possibile assalto della speculazione finanziaria contro l’Italia (“Quanto è accaduto in passato, accadrà anche a noi”, con chiaro riferimento alla battaglia dello spread nel 2011), Giorgetti suggerisce di giocare d’anticipo. Farsi trovare pronti per  “quando bombarderanno”, e scrivere la manovra ad agosto, così da mettere i mercati davanti al fatto compiuto a settembre, quando il tanto temuto assalto potrebbe avvenire.  

Non è affatto detto, però, che una visione tanto chiara possa tramutarsi in azione concreta. La difficoltà che ha questo governo a decidere autorizza più di un dubbio.