Antonio Polito sul Corriere della Sera se la prende con l”opinione pubblica”: cioè con i sondaggi — ma anche col voto amministrativo — che starebbero premiando all’eccesso Matteo Salvini, convincendolo della possibilità di governare il paese per più dei vent’anni arrisi a Benito Mussolini. In cima all’editoriale il vicepremier viene subito avvicinato a Fabrizio Corona, altro italiano “che può piacere o non piacere, ma che piace agli italiani” secondo un parere della “nota opinionista Francesca Barra”, citata “dal programma di Giletti”.
Prima di entrare nel merito dell’editoriale — che prosegue con citazioni dai Vangeli, da Churchill e da Popper sul funzionamento della democrazia — può non essere inopportuna qualche riflessione su “Francesca Barra” e poi sul “programma di Giletti”: se non altro perché è da qui che ha deciso di partire il columnist sociopolitico del Corriere. O forse è tout court il modo più diretto per affrontarne il merito.
Su Wikipedia la “giornalista, scrittrice, conduttrice televisiva e radiofonica” è qualificata anche “ex politica”. Lo scorso 4 marzo è stata infatti candidata dal Pd in Basilicata, personalmente indicata dal segretario Matteo Renzi. Non le è bastato, anzi: è stata surclassata in casa dalla “landslide” M5s. Non avrebbe fatto meglio Polito a impostare il suo editoriale in termini più puntuali e articolati: perché Salvini “piace sempre di più agli italiani” e Barra invece quattro mesi fa “non è affatto piaciuta”? E sì che Salvini fa oggi il ministro di polizia, un “brutto e cattivo” per definizione. E mentre il leader leghista ispira titoli contrastati in bianco e nero sulla politica migratoria, le foto colorate di Barra continuano a campeggiare su siti di gossip ameno: in queste ore per la sue vacanze a Capri con il fresco marito, l’attore Claudio Santamaria. Il quale — a consolazione della moglie — ha analizzato così su Vanity Fair il risultato del voto: “Il problema dell’Italia è l’invidia”.
E’ uno schema che può apparire elementare e che che certamente non tiene conto dei “nemici della società aperta” o dell'”effetto Ponzio Pilato” evocati da Polito. Al quale, ad ogni buon conto, va sempre riconosciuto di aver vinto a suo tempo la sua scommessa di giornalista-candidato per il centrosinistra al Sud. Ma proprio per questo piacerebbe conoscere le opinioni dell’interessato sul perché oggi Salvini piace anche nella Campania di Di Maio, mentre attorno si squagliati coloro che a suo tempo elessero Polito. Solo una spirale maligna nell’opinione pubblica?
“Il programma di Giletti”, com’è noto, è un popolare format di La7: la rete che ha dato asilo al presentatore messo alla porta dalla Rai renziana. E La7, com’è altrettanto noto, è di proprietà di Urbano Cairo, editore dello stesso Corriere della Sera. Com’ è ulteriormente noto, la maggioranza di governo si accinge a eleggere nei prossimi giorni il nuovo Cda Rai: primo segnale importante delle idee giallo-verdi sulla foresta pietrificata del sistema televisivo nazionale.
Qualche segnale — alterno — per la verità è già giunto: soprattutto da M5s. Beppe Grillo ha ipotizzato la privatizzazione di due canali Rai (e il polo Cairo-La7-Rcs è candidato compratore in pectore) mentre Luigi Di Maio — il co-vicepremier di Salvini e titolare della competenza governativa sulle tv — ha parlato con toni meno promettenti di “declino delle tv tradizionali”, facendo un fascio di Rai, Mediaset e La7. Ciononostante — o forse proprio per questo — nomi come quello di Ferruccio de Bortoli, Milena Gabanelli ed Enrico Mentana, oltre allo stesso Giletti e al manager Fabrizio Salini — continuano a circolare con forza per il nuovo organigramma di Viale Mazzini. Sotto questa angolatura, il timore sostanziale sotteso dall’editoriale sembra dunque essere: quanto un’inattesa “buona opinione” degli italiani può spingere Salvini a una “cattiva opinione” non preventivata per i candidati “terzi” e politicamente corretti della scuderia Cairo alla Rai? Oppure: quanto l’effetto-Salvini può rafforzare nella maggioranza Lega-M5s “opinioni sbagliate” sugli editori “costituiti”, cartacei o televisivi?
A questo punto andrebbe affrontato il merito dell’editoriale. Ma l’articolo diventerebbe troppo lungo. E forse non ce n’è neppure bisogno.