Uno dopo l’altro stanno prendendo sostanza, dopo la forma, i provvedimenti dell’Unione europea per tentare di normare il mondo oltre lo schermo di piccoli e grandi monitor. Prima è stata la volta del Regolamento in materia di protezione dei dati, in parallelo si sta dipanando la matassa della Direttiva sulla sicurezza delle reti e delle informazioni. Così, mentre si profila per il 2019 l’arrivo della E-Privacy, in questi giorni tiene banco la regolamentazione del diritto d’autore che, nonostante la bocciatura del 5 luglio, a settembre ritornerà a essere discussa.
Mai nella storia si era vista un’ondata di norme concentrate in un unico settore che tra l’altro, per sua natura, è difficilissimo da indirizzare e ridurre a “miti consigli”. Al di là delle inevitabili polemiche che sta suscitando il tema del copyright, tali da spingere anche Wikipedia a protestare, si dovrebbe provare ad avere una visione complessiva degli interventi dell’Unione per provare a comprenderne la portata e gli obiettivi.
Leggendo ognuno dei provvedimenti si scorge un “sottile filo rosso” che li unisce: i destinatari sono sempre gli stessi. Chi guidava la mano dei redattori di ciascuna norma probabilmente aveva bene in mente i loghi di Facebook, Google, Amazon, Apple e degli altri operatori che, sul mercato Web, hanno raggiunto livelli di potere probabilmente sconosciuti perfino agli Stati. Tutto questo grazie a un controllo capillare dell’informazione nelle sue molteplici forme, il cui sfruttamento produce utili misurabili in miliardi di dollari. Dati personali, musica, video, notizie sono tutte fonti di un guadagno, non di rado generato utilizzando le informazioni in modo spregiudicato.
Se il Regolamento europeo sulla protezione dei dati punta a porre un freno al “consumo” dell’utente come target di pubblicità sempre più mirata e aggressiva (poco lontana dal condizionamento), sul diritto d’autore si vuole mettere un limite all’uso e all’abuso dei contenuti prodotti da terzi che poi finiscono per essere sfruttati dai “soliti noti” senza pagare alcunché. Editori e autori, per esempio, finiscono spesso per fornire un prodotto finito che qualcuno diffonde per il proprio lucro, ma senza partecipare ai costi di realizzazione. Per contro molti richiamano la natura della Rete e con ragione, perché Internet è nato per la condivisione ed è cresciuto proprio grazie allo sviluppo di software e tecnologie basate su principi in cui il concetto tradizionale del diritto d’autore trovava ben poco spazio.
Come sempre il giusto si trova nel mezzo, perché alla verità della natura libera e libertaria di Internet si contrappone lo stravolgimento determinato dall’evoluzione del suo utilizzo: quando abbiamo iniziato a usarlo per vendere lavatrici, allora potevamo immaginarci che molte cose sarebbero cambiate. Per queste ragioni scrivere norme che tengano insieme le due anime della Rete è sempre più difficile e comunque finiranno inevitabilmente per cambiarne la natura.
Il Web che ci aspetta sarà molto diverso e dovrà esserlo, perché le forze che oggi lo governano “realmente” non sono più quelle libertarie e volontaristiche di trenta anni or sono. Di questo sarebbe opportuno ne prendessero atte tutte quelle forze politiche che a forza di guardare le formiche, i singoli, provvedimenti, perdono di vista l’elefante, il disegno generale.