E’ meglio che Salvini non si faccia troppe illusioni: difficile che la montagna del Quirinale partorisca qualcosa di diverso dal proverbiale topolino. Il presidente Mattarella ha concesso l’incontro reclamato a gran voce dal leader leghista, più per quieto vivere che per altre ragioni. I paletti posti con il comunicato di sabato sono chiarissimi: “Sono, ovviamente, escluse dall’oggetto del colloquio valutazioni o considerazioni su decisioni della magistratura”.
Salvini verrà ricevuto come ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio, non come segretario di un partito che si sente braccato dalle toghe, che reclamano la restituzione di una cifra al di sopra del possibile. Salirà solo, non con l’abituale codazzo dei capigruppo parlamentari. Non potrebbe essere altrimenti, visto che tutto vuole Mattarella fuorché dare all’esterno anche solo l’impressione di un Quirinale trasformato in una sorta di quarto grado di giudizio. Per il Capo dello Stato, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, nulla può e deve andare contro il sacro principio della separazione dei poteri.
Il pressing di Salvini è stato vissuto al Quirinale come inopportuno, vista anche la grancassa mediatica. E lo scivolone del sottosegretario leghista alla Giustizia, Jacopo Morrone, sulle correnti del Csm certo non ha aiutato. Concedere il colloquio, ma sotto forma di incontro con il titolare del Viminale, è parso il male minore. Ma se il vicepremier si mettesse a sparare contro i giudici appena uscito dal Quirinale, la salomonica soluzione diplomatica si trasformerebbe in sgarbo istituzionale, anche se un accenno ai temi che stanno più a cuore a Salvini nel corso di un colloquio riservato rimane sempre possibile.
Il leader del Carroccio da un faccia a faccia con il presidente della Repubblica ha comunque da guadagnare, visto che manca fra il Colle e la Lega quel filo diretto che è parso evidente nei giorni della crisi fra il colle più alto della politica italiana e il Movimento 5 Stelle. Potrebbe scoprire sintonie interessanti, visto che Mattarella sui migranti ha sempre parlato di lavoro per evitare le partenze nei paesi di origine e della necessità della solidarietà del resto d’Europa nel gestire gli immigrati già arrivati qui. Certo, con toni più soft dei suoi.
Sul tema migranti il ministro dell’Interno sembra alzare sempre più la posta, ultimo obiettivo le navi militari degli altri paesi cui negare l’accesso ai porti italiani, finendo per andare in frizione con gli altri colleghi di governo, ultimo il ministero della Difesa. Il suo intento pare chiaro: continuare a dettare la linea del governo come e più di quel che si è visto nel primo mese dell’esecutivo guidato dal Giuseppe Conte. Il balbettante inizio dei colleghi pentastellati aiuta. La pattuglia dei ministri grillini sembra meno attrezzata dei colleghi leghisti, più veloci nel passare dalle parole ai fatti. In più, i dicasteri in mano ai 5 Stelle sono quelli che muovono più risorse economiche, così ogni passo rischia di trasformarsi in un calvario per assenza di coperture finanziarie. L’inizio balbettante del cammino del “decreto dignità” è lì a dimostrarlo. E nel momento in cui si cercherà di dare consistenza al reddito di cittadinanza sarà pure peggio.
Due sono i rischi che corre il leader leghista: aprire troppi fronti, e volere strafare. In entrambi i casi il rischio è sopravvalutare le proprie forze, che sono comunque notevoli. Se non commetterà errori, a fine anno sarà lui l’unico arbitro della prosecuzione dell’esperienza di governo. Dovrà decidere se continuare a braccetto con Luigi di Maio, o passare all’incasso, provocando il ritorno al voto a primavera. I sondaggi che indicano un autentico boom della Lega, arrivata secondo tutti gli osservatori a pesare quanto i 5 Stelle, sono una tentazione fortissima. Oggi probabilmente il centrodestra avrebbe da solo la maggioranza dei seggi in Parlamento. Salvini insomma potrà scegliere fra Di Maio e il ritorno a Berlusconi, ma stavolta da una posizione di assoluta forza.