In apparenza Matteo Renzi si divide tra la sua nuova vita di star televisiva e il divano su cui sta disteso coi pop corn a godersi lo spettacolo del governo gialloverde. Ma è solo un’apparenza. Dietro l’immagine rassegnata e annoiata di Matteo fervono progetti, iniziative, manovre. E come sempre nello storytelling renziano la via per arrivare ai fatti è immobiliare. Altolà, non parliamo della noiosa storia della nuova casa di Renzi a Firenze, la villa in via Tacca sotto piazzale Michelangelo, indirizzo ultra chic con vista mozzafiato sulla città. La stampa ha fatto le pulci sull’acquisto, parliamo di un milione e 300mila euro coperti dalla vendita della casa di famiglia e mutuo agevolato del Banco di Napoli della Camera. Niente di importante, tanto più che da tempo Renzi cercava la casa della maturità, e ai giornalisti era sfuggito l’acquisto quasi completato e poi sfumato nell’estate del 2016, quando ancora abitava a Palazzo Chigi: al premier era piaciuto un intero piano nella via dello shopping dietro Santa Croce, l’affare saltò per un’impuntatura del venditore; i fiorentini, si sa, non si impressionano di fronte al potere.



Ben altri sono i sogni immobiliari di mezza estate del senatore di Rignano. In questa estate da soldato semplice Renzi ha messo gli occhi su una delle leggende più esplorate dai giornalisti di prima e seconda repubblica: il patrimonio della Democrazia cristiana. Tutti pensano che Renzi voglia rifare una specie di nuova Dc insieme a Berlusconi, nessuno sa che Matteo di mamma Dc vuole una sola cosa, le centinaia di sedi ancora aperte sotto l’insegna del Partito democratico.



Da Rizzo, Stella, Gabanelli in poi tutta la stampa italiana ha esplorato il mistero del patrimonio democristiano apparentemente evaporato in una storiaccia di società serbocroate che lo avrebbero acquistato e fatto sparire nel nulla. Peccato che le sedi siano ancora tutte lì, a vista delle piazze e dei corsi delle cento città italiane in cui Fanfani pretese che la Dc avesse una sede di proprietà. Eppoi ci sono i paesi del centro Italia, dove i comunisti non fittavano locali alla Dc, e dunque pure là Fanfani impose l’acquisto della sede.

Da anni questo immenso patrimonio è tornato nella disponibilità dei democristiani di sinistra: una parte c’era sempre stata, una parte torna per la soluzione dei casi giudiziari che avevano contrapposto i popolari alle società fallite e fuggite in Croazia. Conclusione: le case sono formalmente del Ppi di Castagnetti, ancora vivo e attivo come tutti i partiti della prima e seconda repubblica; sostanzialmente queste sedi sono appannaggio del Pd, i popolari essendo stati più generosi dei Ds che le loro se le son tenute o al massimo date in affitto.



Oggi Renzi accarezza assai concretamente l’addio al Pd, ed ecco l’oggetto del desiderio: il patrimonio della Dc, e zacchete, gli basterà cambiare l’insegna davanti a tutte le sedi del Pd. Chi non lo segue si ritrova di colpo senza sede.

Basta poco a Matteo per centrare il bersaglio. I popolari nel Pd sono un tantino in ebollizione: Fioroni a casa, non rieletto nella sua Viterbo, Marini fuori gioco da tempo, Castagnetti stanco del ruolo di ambasciatore del Quirinale che si è ritagliato. Custode dei beni è tal Luigi Gilli, un notabile di Reggio Emilia noto per essere stato una specie di badante del vecchio Scalfaro. Sarebbe proprio lui l’uomo su cui Renzi punta per la grande operazione immobiliare parallela al lancio della nuova creatura demo-renziana.

Il governo gialloverde mostra le prime crepe, i pop corn sul tavolino sono finiti e il senatore Renzi freme per tornare in campo. Ma stavolta con una casa tutta sua, perciò la sta cercando e forse ne ha trovate duecento tutte insieme.